Innovatori Europei

Significativamente Oltre

Un popolo rosso di rabbia reazionaria

di Michele Mezza

Una talpa inedita riprende a scavare sotto i nostri piedi. sembra proprio che s’avanzi uno strano soldato. E non è  un amico.

Le cronaca ci rimandano annunci di ribellismo sociali nelle banlieu delle grandi metropoli.

Povertà ed esasperazioni anti elites mettono in movimento un popolo dell’intolleranza. le gaffes di Marino a Roma, i mutismi a Milano della sinistra culturale, l’assenza a Napoli, Bari e Palermo di  una presenza territoriale di un progetto di trasformazione, fa rifluire  protesta sociale e rivolta esistenziale  in una La lega di Salvini si candida a contenitore di questa nuova Italia Italia senza pietà, e soprattutto senza speranza. Non era mai accaduto che la destra trovasse un popolo diffuso e metropolitano. Già le lancette dei sondaggi segnalano gli effetti: si logora lo scintillante , successo solitario di Renzi, si gonfia la vela della destra lepenista.

Certo fiammate populista non sono mancate, dall’Uomo Qualunque del dopo guerra, al Bossismo della fine anni 80, fino al berlusconismo sorridente. Ma sempre la spina dorsale era la media borghesia provinciale.

Oggi la protesta gonfia la pancia popolare e permette ad una possibile destra conservatrice di radicarsi nei quartieri metropolitani, così come si è radicata nelle curve degli stadi. ma con una torsione ancora più preoccupante. Dove andrà la protesta operaia bianca, senza ambizione politica e con la frustrazione di trovarsi sola in un territorio senza r5tappresentanza? dove andrà il popolo di questa CGIL senza partito? dove si rifugerà alla fine la rude razza pagana dei metalmeccanici di Landini se non trovasse un approdo a sinistra?

La convergenza annunciata dalla Camusso del primo sindacato italiano con la Lega per il referendum sulla riforma previdenziale Fornero indica una direzione: con un fronte popolare difensivista. Per la prima volta si configura in Italia quella base sociale tipica della destra popolare americana, composta da borghesia rapace, produttori frustrati, e operai minacciati. E’ la destra bianca degli anni 60 e 70, quella degli operai di Chicago che picchiavano gli studenti anti Vietnam, quella della difesa dell’industria americana contro l’ondata gialla, quella del muto della casa da pagare a tutti i costi.

Prove generali di questo nuovo mosaico sociale già ce ne sono state: Gli operai brianzoli o veneti, da tempo senza rivoluzioni da inseguire, sono inevitabilmente schiacciati sotto l’alleanza con il proprio padrone per cercare una via di emancipazione almeno nel successo della propria azienda.

Ma ora si va oltre: Europa, stato fiscale, immigrazione sono i tre nemici che spostano a destra il popolo senza rivoluzione. Dopo 30 anni a lamentarci di  un ceto rivoluzionario che non ha mai trovato un popolo per  dare forma alle proprie ambizioni, ora ci troviamo muti di fronte ad un popolo che senza rivoluzioni scivola a destra.

Il Renzismo non sembra sufficientemente tondo per dare una alternativa. Nasce come linguaggio neo borghese e non sa ora parlare a ceti esterni alla competizione. La vecchia sinistra è anch’essa senza voce. Il suo popolo era disciplinato e auto munito di identità rivoluzionaria. La sinistra doveva solo amministrarlo e usarlo come spauracchio, per spostare equilibri e concertazioni.

Siamo ad un vero bivio. paradossalmente dopo aver guardato fuori dalla finestra per cercare di leggere l’orizzonte e ‘ alle nostra spalle che è cresciuto un mostro che non domiamo. Come sempre le trasformazioni non possono rimanere a mezz’aria, pena rovesciarsi nel proprio contrario. Già Machiavelli ci ricordava ne  Il Principe  che ” Non c’è niente di più difficile da prendere in mano, ne di più pericoloso da guidare, e di più incerto successo che avviare un nuovo ordine delle cose. Perché l’innovazione ha nemici in tutti quelli che hanno operato bene nelle vecchie condizioni e soltanto tiepidi sostenitori in coloro che potranno essere avvantaggiati  dal nuovo”.

Per Bagnoli non servono rivoluzioni ma decisioni

di Umberto Ranieri, “Il Mattino”, giovedì 6 novembre 2014

Mi auguro che Matteo Renzi si adoperi affinché il Parlamento, prima di dare la parola alla Corte Costituzionale, intervenga con una modifica legislativa su quegli aspetti della legge Severino per i quali dubbi di costituzionalità sono più che fondati. In particolare su due punti: la decadenza da cariche istituzionali dopo una sentenza di condanna di primo grado ritenuta lesiva della presunzione di non colpevolezza fino alla sentenza definitiva e la retroattività della misura. Questo vale oggi per la questione posta da Luigi De Magistris, condannato in primo grado a un anno e tre mesi, come valeva ieri per la richiesta avanzata da Silvio Berlusconi di rivolgersi alla Consulta prima di decidere la decadenza da senatore. Le garanzie previste dalla Costituzione a tutela dei cittadini vanno rispettate sempre! A prescindere dalla appartenenza politica del soggetto in causa. Non tutti in questi anni si sono ispirati a un tale principio. Certamente non De Magistris! Sulla questione Bagnoli il sindaco eviti di lanciare accuse di tradimenti. Qualcuno potrebbe ricordare i mesi in cui egli si atteggiò a sostenitore intransigente di una “Coppa America” da svolgere in una Bagnoli per niente bonificata. Invece di minacciare rotture di intese e improbabili ritiri di firme da accordi già stipulati con il governo, lavori perché il Comune svolga un ruolo propositivo e attivo nel rilancio del programma di bonifica e di sviluppo del sito ex-Italsider e dell’intera area occidentale. Bagnoli non ha bisogno né di barricate né di proclami “rivoluzionari” ma di veder attuata una seria bonifica con il coinvolgimento di rigorose competenze scientifiche e ascoltando le comunità locali. La via maestra per uno sviluppo dell’area fondato su turismo, ricerca e innovazione. E’ indispensabile inoltre che il governo nazionale mantenga gli impegni assunti e giunga a decisioni concrete per avviare l’operazione risanamento di Bagnoli. Nomini il commissario previsto nel progetto approvato in Parlamento, lo faccia sulla base di una scelta oculata che valorizzi competenza, professionalità e rigore; definisca le procedure per individuare il soggetto attuatore; affronti con puntualità la questione delle risorse finanziarie ricordando che su questo punto come su quello del ruolo del Comune, nella discussione parlamentare sono state avanzate proposte serie e realistiche di cui sbaglierebbe il governo a non tenere conto. E non si preoccupi il presidente del Consiglio di fissare date per le sue visite a Napoli. Non è questo l’essenziale. Essenziale è che il governo decida. E per il meglio.

I limiti e i meriti di Renzi

di Massimo Veltri (pubblicato ieri su Il Quotidiano della Calabria)

E’ sempre stata una prerogativa di chi un tempo faceva politica, contestualizzare i fatti, inserirli in un prima e in un possibile dopo, alla luce della situazione complessiva e degli attori in campo. Chi, appunto, un tempo faceva politica negli grandi partiti di massa, in un’Italia che vedeva il binomio… Dc-Pci fronteggiarsi, accordarsi, poi di nuovo guerreggiare, in una situazione politica ch’era quella dei blocchi contrapposti poi via via sbiadita dopo il crollo del muro, le scuole di partito, il Vaticano, la Terza via, la Russia, i Comitati Centrali, il Centralismo democratico… Ma non è questo il punto, qui. Il punto che voglio mettere in evidenza qui è che mai o quasi (malgrado ipocrisie, mezze verità e infingimenti) si faceva ricorso a categorie come antipatia personale, mai si tacciava esplicitamente l’interlocutore di ignoranza o di superficialità. Invece, evidentemente i tempi son cambiati anche in tal senso, e per tutti, sempre più si fa ricorso a tali categorie, a queste attribuzioni negative, per commentare, o meglio: condannare, l’operato di Matteo Renzi nella veste di premier e/o di segretario del Partito Democratico. Partito democratico, appunto: né Dc né Pci: si può ragionare, ancora, con gli stessi schemi con cui ci si atteggiava venticinque anni fa, fra nostalgie malriposte e incapacità di situarsi nelle dinamiche di oggi? Quando dopo averle dette tutte, ma proprio tutte, contro o a difesa  di certe posizioni – che siano la bontà del sistema bicamerale contro l’abolizione del Senato; i tentativi di riscrivere una legge elettorale un pò meno indecente del vigente Porcellum e corollario annesso di preferenze sì e preferenze no; il solipsismo del leader; la modifica del mercato del lavoro, l’accordo con Verdini e c., il liberismo esasperato eccetera – quando tutto s’è detto e si è ripetuto, dicevo, ecco che scattano parallelamente le contumelie. E la cosa deve far riflettere, per evitare un ulteriore grado di imbarbarimento di cui proprio non ci sarebbe bisogno, in una situazione di per sé molto complicata.

Esiste, almeno sulla carta, un Pd, e un sistema di forze politiche, dal M5Stelle a FI, Ncd, Lega e tanti altri ancora, in cui la responsabilità di governo è assegnata, oggettivamente, al leader del Partito Democratico. L’ascesa di Renzi è stata descritta in tutti i modi: non val la pena soffermarcisi qui. Varrebbe la pena farlo piuttosto sulla nascita e sulle convulsioni del Pd, ma pure questo è stato fatto se pure in termini non conclusivi. Si dice, e ci sono elementi di verità, che questo Pd conserva al suo interno tante sensibilità, volendo intendere contraddizioni; diverse culture in termini di intendere i pesi e i contrappesi nel sistema  istituzionale; contrastanti modi di riferirsi a blocchi sociali; differenti approcci verso la modernità; welfare e garanzie fra loro confliggenti; intendere il mondo del lavoro. Se si guarda bene ci sono ancora altre divaricazioni, dentro il Pd, questo Pd, e non si tratta di semplici ‘elementi di verità’, ma appaiono piuttosto oggettive e quotidiane constatazioni. Constatazioni che giorno dopo giorno fanno fibrillare sempre più il quadro politico-istituzionale. Su un punto, però, è possibile cercare di trovare un’intesa, ed è quello che riguarda la inesorabile perdita di sovranità degli stati europei a fronte delle politiche (economico-finanziarie) della UE, di questa UE. E’ da tempo che si riscontra questo duplice dato: UE come unione economico-finanziaria e null’altro (diretta rigidamente dalla Germania); eterodirezione della politica da parte degli obiettivi di convergenza decisi in sede esterna ai paesi che dovrebbero invece esercitare la loro propria sovranità. C’è un problema, quindi, anzi ce ne sono tre: come indurre Bruxelles (e Berlino) ad intendere le cose in chiave più politica e in termini di sviluppo – che non può conseguirsi con azioni di mero contenimento della spesa, di tagli e investimenti sempre più esigui -; parallelamente, come mostrare in sede UE un volto realistico, accreditandolo nei fatti, di responsabilità, autorevolezza, serietà; come ridefinire il compito, le attribuzioni, le articolazioni, dello stato, dello stato di oggi e di domani alle prese con un mondo del lavoro spostato sempre più verso la precarietà, un sud del continente che non può essere lasciato in balìa di se stesso, un universo di tecnologia e di nuovi saperi che saprebbero dare risposte a tanti problemi che ci affliggono se fossero, come si dice, messi a sistema. Questo è il fronte che da più parti caratterizza la nostra esistenza, oggi, se non si vogliono aggiungere anche i temi della sicurezza e della sostenibilità ambientale.
Esistono proposte, letture, di tali fenomeni, oggi, che siano in grado di confrontarsi con tali complessità tanto sul terreno nazionale che su quello europeo? A me non pare, tanto che sembra d’essere tornati alle così dette politiche dei due tempi: prima aggiustiamo un pò le cose, poi ripartiamo. Con un aggravante, però, che l’aggiustamento non procede spedito, tutt’altro, incontrando ostacoli, divergenze di posizioni, attriti fortissimi, in specie, o forse addirittura soltanto, nel partito di maggioranza relativa. Mentre, invece, occorrerebbe rilanciare sì nel campo dell’accreditamento agli occhi UE – dopo decenni d’inerzie, scialacquamenti e scorribande vari – ma contemporaneamente sferrare un’offensiva  a tutto campo contro la crisi di questo modello occidentale che chiami a raccolta per un nuovo ‘ordine europeo’. Che veda gli stati membri al centro, la guerra contro la povertà, politiche per il lavoro realistiche, investimenti in infrastrutture materiali e immateriali, un welfare equilibrato e non meramente assistenzialista, la rete fra l’imprenditoria privata, lo stato, la comunità scientifica, il mondo delle professioni liberali.
Renzi ha mille e un difetto, mettiamoci pure, e non è di poco conto, questo suo stucchevole insistere: ‘Il sud deve farcela da solo’ (non ce la può fare, da solo. Nessun ambito politico-territoriale in ritardo alza la testa autonomamente se non è accompagnato da misure premiali e dissausive, se non è messo nelle condizioni di operare virtuosamente, liberandosi dei tanti orpelli e dei tanti motivi di ritardo che lo affliggono, gran parte, è vero, frutto di responsabilità proprie), ma una serie di elementi di oggettività li interpreta, all’interno d’un blocco anchilosato su un’Italia ferma a venti-trent’anni fa che non c’è più, malgrado qualcuno e più d’uno faccia finta di non essersene accorto. Certo, se alza il tiro, Renzi, se accompagna al suo dire un disegno ambizioso di ridefinizione del quadro generale con piglio e credibilità autentici, forse gli si perdonerebbero, o quasi, anche le tante guasconate, le improvvisazioni, le dimenticanze, le grossolanità. Fatto è che solo a dir no non si va da nessuna parte, a guardare l’oggi con gli occhi di ieri non ci si cava niente.

Una reale prospettiva di integrazione per la Turchia è strategicamente importante per l’UE

di Gianni Pittella

Istanbul at nightDopo i colloqui con le autorità turche, con i leader dell’opposizione e i rappresentanti delle minoranze, con le ONG che si occupano di religione e di diritti delle donne, termina oggi la mia visita di tre giorni in Turchia.   L’Unione europea deve offrire alla Turchia una vera e propria prospettiva di integrazione. Non è solo il riconoscimento da parte dell’Unione europea dello status della Turchia come paese candidato all’adesione all’UE che è in gioco, ma anche una visione strategica, economica e geopolitica che non si può ignorare. Qualsiasi problema, singolo o nazionale che sia, non dovrebbe penalizzare questo processo. Solo una vera e propria opzione per l’integrazione europea può portare la vita politica turca verso gli standard europei. E solo una vera e propria opzione per l’integrazione europea può assicurare l’attuazione delle riforme su minoranze, diritti delle donne, libertà religiosa e dei media. Un vero e proprio futuro europeo può anche avere un effetto positivo sui negoziati di pace con i curdi e convincere Ankara ad impegnarsi pienamente nella lotta decisiva contro lo Stato islamico.   Non importa quanto tempo richieda questo processo, una maggiore integrazione europea è nell’interesse dell’Europa e della Turchia. Per questo vogliamo aprire il confronto sui capitoli 23 e 24 dei negoziati di adesione (in materia di giustizia, diritti e libertà fondamentali) e in futuro anche sul capitolo 17 (in materia di politica economica e monetaria).   Inoltre, come Socialisti e Democratici, siamo fermamente convinti che sia giunto il tempo per una soluzione globale al problema di Cipro – secondo il diritto internazionale e per il bene delle popolazioni greco-cipriote e turco-cipriote. Per quanto riguarda la recente disputa sui giacimenti di gas naturale nel Mediterraneo orientale, ci aspettiamo che la Turchia rispetti la sovranità di Cipro sulle sue acque territoriali. Allo stesso tempo, ci raccomandiamo che le autorità di Cipro si consultino con le controparti turche nelle attività di esplorazione e di sfruttamento per condividere i benefici per tutti i ciprioti.

Aperte le iscrizioni al RomeMUN – La più grande simulazione delle Nazioni Uniti in Europa

Capacità negoziali, disponibilità al lavoro di gruppo e buone proprietà di comunicazione qualificano il profilo del diplomatico del XXI secolo. Riuscire a esercitarli fin da subito aiutano a mettere in moto un percorso che potrebbe portare al Palazzo di Vetro.

La buona notizia per tutti i giovani interessati a una carriera nel mondo delle relazioni internazionali è l’organizzazione del RomeMUN, la più grande simulazione diplomatica d’Italia e fra le più affermate sul panorama europeo.

Dal 14 al 18 marzo 2015, a Roma, 2000 partecipanti, fra ragazzi e ragazze, attesi da tutto il mondo, avranno modo di dibattere fra comitati ed agenzie ONU le questioni proposte per la sesta edizione.

Il tema del programma è ispirato all’Expo di Milano: “Feeding The Planet, Energy For Life”. Le tre posizioni aperte, da delegato, giornalista o traduttore, metteranno alla prova la preparazione

e la determinazione di giovani studenti volenterosi di capire come si vive e si cambia il dibattito internazionale. Fra le altre novità annunciate del RomeMUN 2015, è previsto un Consiglio di

Sicurezza in multilingue e un comitato interamente in Italiano riservato in esclusiva agli studenti stranieri non iscritti presso un’Università Italiana.

“Per questa edizione i preparativi sono già iniziati.” racconta Daniela Conte, presidente dell’Associazione Giovani nel Mondo. “Il nostro staff è già sepolto dalle applications arrivate,

soprattutto quelle dall’estero. Ma la soddisfazione maggiore è nel riuscire a garantire ben 200 borse di studio per profili di alto livello che non possono coprire le spese di viaggio e alloggio”.

Per gli studenti interessati a partecipare alla prossima edizione l’application form sarà aperta fino al 15 dicembre 2014, mentre la richiesta per accedere alla borsa di studio sarà possibile fino all’8

dicembre 2014, entrambi disponibili su www.romemun.org

Il Rome Model United Nations è organizzato dall’Associazione Giovani nel Mondo, con il patrocinio di IFAD, WFP, della Rappresentanza Italiana della Commissione Europea e di Expo

Milano 2015.

Contatti utili info@romemun.org www.romemun.org

Quello che abbiamo visto a Pechino

C’è molta simpatia verso il Belpaese e una conoscenza dettagliata del nostro sistema di piccole e medie imprese volta al miglioramento delle imprese cinesi. Matteo Orfini e Enzo Amendola – Europa

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La delegazione del Pd ha avuto la possibilità di interloquire con dirigenti del Pcc proprio nelle ore della chiusura del plenum. C’è molta simpatia verso il Belpaese e una conoscenza dettagliata del nostro sistema di piccole e medie imprese volta al miglioramento delle imprese cinesi.
La frenata dell’economia cinese, rispetto alla prevista crescita del 7,5% del Pil, non è una notizia che fa discutere solo la classe dirigente di Pechino ma muove i destini delle principali piazze mondiali a partire da Wall Street, dove nessuno si sorprende per l’interdipendenza strettissima con le mosse dell’Impero di Mezzo. Per questo, tutti i riflettori erano puntati nei giorni scorsi sul quarto plenum del comitato centrale del Partito comunista cinese. Con una delegazione del Pd abbiamo avuto la possibilità di interloquire con dirigenti del Pcc proprio nelle ore della chiusura del plenum.
A sorpresa è stato diramato il comunicato ufficiale dal conclave segreto e la dichiarazione finale, più che sulla contingenza economica, si è concentrata sullo stato di diritto e la funzionalità delle istituzioni. Tradotto, la lotta alla corruzione dilagante ai livelli locali dove la commistione tra potere politico e organi di controllo, ovviamente non autonomi, ha fatto scoppiare una “bolla corruttiva” preoccupante per i vertici del partito. Sul tema aveva avuto gran eco il processo di Bo Xilai, proprio all’inizio della presidenza di Xi Jinping, che molti osservatori avevano letto come frutto di una conta interna, tra le diverse correnti del partito, portata avanti con altri mezzi.
In tutti i casi la corruzione, combattuta oggi anche con “tribunali mobili” di secondo grado, è un tema di conversazione con i visitatori stranieri; una novità interessante per una classe dirigente che vuole portare la Cina al vertice dell’economia mondiale, non accontentandosi più di avere il marchio di “fabbrica del mondo” o semplice prestatore di liquidità ma gelosa, agli occhi esterni, dei suoi meccanismi di funzionamento politico.
Ad una prima lettura ci si chiede se magari la tendenza è verso la divisione dei poteri, esecutivo e giudiziario nel caso, tipico delle democrazie liberali. Tuttavia appare piuttosto una manovra di contenimento decisa dal comitato permanente dell’ufficio politico, i 7 uomini più potenti della Cina, verso i suoi 83 milioni di iscritti per debellare un virus, commistione tra governo e affari, che mina l’ascesa impetuosa della Cina. Tutto in linea con le scelte dei precedenti plenum e della strategia di “riforme e apertura” che non prevede ancora di intaccare il monopartitismo.
Questo scenario scontenta chi si accosta alle vicende del colosso asiatico con il paradigma che alle libertà economiche diffuse seguano rapidamente riforme istituzionali. Infatti le scelte e l’agenda della politica locale hanno una narrativa chiara negli incontri, dal ministero degli esteri al Politburo del Pcc, senza diplomatismi di maniera, ma legata a visioni pragmatiche di chi sta tentando di portare a stabile profitto la rivoluzione avviata da Deng a fine anni ’70. In questa stagione, sotto la guida di Xi Jinping, la priorità è uno “sviluppo di qualità”, sostenibile nella dimensione sociale ed ambientale, con consumi interni sostenuti e non più basato su una manifattura di bassa qualità tecnologica e bassi salari. Impetuosi sono stati gli investimenti esteri finalizzati anche ad una crescita di competenze nel mondo della produzione per innervare l’industria cinese di un know-how tecnologico spesso poco competitivo.
«Siamo fieri del rapporto con l’Italia, dello scambio di visite tra Renzi e il nostro primo ministro Li Keqiang, che ha portato accordi per 10 miliardi di dollari» ci dice Ren Hongbin all’Accademia del ministero del commercio. Un dato impressionante non solo per la simpatia verso il Belpaese, salito rapidamente ai vertici dei partner cinesi per investimenti, ma per la conoscenza dettagliata del nostro sistema di piccole e medie imprese volta al miglioramento delle imprese cinesi. Una analisi che certamente farebbe rabbrividire i protezionisti di casa nostra ma entusiasmerebbe un ascoltatore non intimorito dalla chiosa di Hongbin «nel nostro interscambio quello che vorremmo far crescere è la ricerca, adesso troppo bassa, puntando su università e centri di eccellenza».
Infatti la Cina non raffredda i suoi livelli di produzione interna, stabilizzando il Pil dal 9% del passato al 7,5% previsionale, per un calcolo pessimistico o perché stretta tra la paura per la possibile bolla immobiliare, figlia di una urbanizzazione scriteriata, e una corruzione che corrode le leve del potere locale.
Piuttosto il timore è quello di aver toccato i vertici dell’economia mondiale con uno sviluppo carente di coesione sociale e arretrato dal punto di vista del valore aggiunto rispetto al suo principale rivale ed alleato economico di oltrepacifico, proprio adesso che è partita la guerra commerciale globale.
Non a caso, proprio sul grande scacchiere delle rotte dello scambio, la Cina pianifica una “via della seta del Ventunesimo secolo” per via marittima, toccando tutti i continenti,  sorretta da un nuovo canale per solcare gli oceani da costruire in Nicaragua, competitivo rispetto al raddoppio del canale di Panama.
Gli Usa inseguono la supremazia commerciale nel Pacifico con il Tpp (Transpacific partnership agreement) per unire 800 milioni di persone, escludendo la Cina, e nell’Atlantico con il Ttip (Transatlantic trade and investment partnership) per legare Usa e Ue. Dietro queste scelte si staglia il blocco operativo del Wto, il neoprotezionismo dei Brics e la ripresa necessaria, per aggirare lo stallo, di accordi bilaterali o multilaterali collegati da geostrategie comuni. Anche la Cina non si fa trovare impreparata sul punto, e mentre ha aperto a 100 sui 167 settori di servizio richiesti dal Wto, ha siglato più di 20 trattati bilaterali di commercio.
A tutto ciò si aggiunge la sfida moderna per la supremazia nel Pacifico al di là delle rotte commerciali, che si muove su nuove linee di scontro geopolitico ben più pericolose. Le tensioni sono cresciute visto l’attivismo cinese nel mare continentale scuotendo i paesi limitrofi con dispute sulle acque territoriali e la ricerca di materie prime off shore. La reazione Usa non si è fatta attendere frutto della tradizionale politica di protettorato verso i paesi minacciati dall’egemonismo cinese. In fin dei conti, se dal punto di vista economico tra gli Usa, con la sua teoria del “pivot to Asia”, e la Cina, con la sua “via della seta”, una convivenza è necessaria, al contempo è ipotizzabile che sul terreno delle alleanze militari si possa sviluppare la “cool war” di cui parla Noah Feldman.
Infatti le relazioni e gli scambi di merce e liquidità hanno saldato in un destino comune i due giganti, che sul piano della libertà del capitalismo non vivono il muro e le distanze tipiche della vecchia “cold war”. La partnership competitiva è nei fondamenti della loro relazioni poiché la Cina da magazzino della produzione del mondo si è trasformata in prestatore di risorse Usa sviluppando una coesistenza economica evidente tra le prime due economie del globo. Ma i rischi da “guerra fresca” sono piuttosto su altri versanti geopolitici dove la convivenza tra le due ambizioni possono irrigidire le distanze tra Washington e Pechino su faglie conflittuali, a partire da quella più esplosiva che è Taiwan.
In questo contesto si intuisce la determinazione verso la nostra insistenza, con i vertici del ministero degli esteri e del dipartimento esteri del Pcc, sul tema Hong Kong. «Interferenze esterne» oppure «quando Hong Kong era inglese non si tenevano elezioni», sono le risposte di forma che non spiegano il fenomeno di protesta giovanile nell’importante autonomo centro finanziario sotto bandiera cinese. La sfida di Hong Kong è paradigmatica e mette in discussione la tenuta dell’assetto “due sistemi-uno stato”, schema istituzionale che la Cina vorrebbe consolidare se non esportare ad altri stati satellite; un modello che se esplodesse nella ex colonia britannica avrebbe conseguenze più complicate per l’aspirazione da grande potenza.
Ma per sfatare i pessimismi su una convivenza tra le due superpotenze un ruolo lo potrà avere sicuramente l’Europa unita che non si rinchiude solo nei benefici dell’interscambio commerciale. Il modello di integrazione europeo, paradossalmente oggi in crisi tra i 28, è molto apprezzato a Pechino, analizzato nei suoi fondamenti storici, esaltato poiché si è realizzato con l’aumento graduale di scambi economici e la parallela integrazione di istituzioni giuridiche che hanno allontanato i rischi di guerra. Un antidoto ad un multilateralismo troppo debole dinanzi ai nuovi rischi globali.
Fonte: Europa

The Green value of Milan Expo 2015

by Massimo Preziuso (in State of Green Economy Report 2015 – Dubai Carbon)

expo-milano-2015

Expo Milano 2015 is the first universal green economy fair. A single event will give italian and international firms focused on green investments the opportunity to be exposed to new ideas and alliances while showing their best practices to a global community, during and after the event.

Mobilizing the attention of a massive audience this Expo aims to be a global best practice, in terms of its sustainable design and green procurement to be followed in the next “Great Events”.

Milan Expo 2015 is also a unique place for setting up a new era of sustainable and green growth policy that starts in Europe and directs to the UAE (through the Dubai Expo 2020) and the USA (through the Transatlantic Trade and Investment Partnership) reshaping the entire global economy.

At Rio +20, in June 2012, Heads of State and Government renewed their commitment to ensuring the promotion of an economically, socially and environmentally sustainable future for our planet and for present and future generations.

Among other actions, they recognized the importance of promoting cleaner production and products and boosting green growth.

Expo Milano 2015 is a non-commercial Universal Exposition with some very unique and innovative features. Not only is it an exhibition but also a process, one of active participation among a large number of players around the theme of Feeding the Planet, Energy for Life. It is sustainable, technological, thematic and focused on its visitors. Open from May 1 to October 31, 2015, the Expo will host over 130 participants. Running for 184 days, this giant exhibition site, covering one million square meters, is expected to welcome over 20 million visitors” (Official website)

Expo Milano 2015 is so a golden opportunity for Italy and Europe to show how this can be done, by implementing workable sustainable solutions throughout the lifecycle of the event.

To this aim, Expo Milano 2015 wants to set the standard in:

–        Sustainable design, construction, dismantling and reuse

Today, the building sector accounts for 30 to 40 percent of the world’s energy consumption and about 30 percent of current world CO2 emissions. The Sustainable Solutions for the design, construction, dismantling and reuse guidelines provide suggestions and references on how to improve the performance of temporary buildings and exhibition spaces.

–        Green Procurement*

Expo Milano has introduced not mandatory Green Procurement Guidelines to provide suggestions and recommendations on how to easily include appropriate criteria to reduce environmental footprint of products and services in their life-cycle. Green Procurement is also a major driver for innovation, providing industry with real incentives for developing green products and services and stimulating the markets towards more sustainable solutions.

Expo Milano 2015 has also a tremendous potential impact onto a political and economic perspective as a unique opportunity for Europe to take (for the second time, after having led the global agenda for Climate Policy with its “20-20-20”) the leadership of a new era of Sustainable Growth and Green Investments.

For Italy it is also the opportunity to restart as a country and community after a decade of economic and cultural crisis that has partially destroyed a tradition of wellness and high standard of living. The Expo can give the country a fresh and modern image of a visionary and environmental friendly place that aims to return as a guide for the old continent and the world towards a new era of green growth, with its unique creativity that brought tons of inventions and innovative products and technologies for the past centuries.

According to a recent study on the leading export industries in various countries, “engineering products” sector results the first contributor to Italian export. This says that Italy is still a top global exporter of high value – engineering services and products to the developed and developing countries, helping world economies and societies growth and modernization. A fact in clear contrast with an (Italian) internal economy that is living a long and severe decline.

Milan Expo could give a strong boost to a sustainable production and consumption path that is already emerging as data from GreenItaly 2013 report on italian green investments shows.

The sample is made by 328 thousand firms (one out of five) that, from 2008 on, invested on Green Economy.

Data says that, despite of a crisis that still persists, Italian green industry is growing and that the exportations are increasing especially thanks to innovation.

The main consequence of green investments are increase in exportations, innovation in the productive system and turnover increase. In order to be competitive Italian firms must persist on their tradition in terms of product, but also integrate it with sustainability and quality in terms of production. Green Economy is the key for Italian industry’s recover.

To summarize:

–         Expo Milano 2015 could strongly influence the european and global political agenda by putting Environment and Sustainability at the centre of a new “green era”.

The main goal could be with the EU – USA Transatlantic Trade and Investment Partnership that could be strongly innovated and enhanced with new “sustainable” conditions.

–        In the same time, Expo Milano 2015 has the strong responsibility to give a successful example, in terms of organization and vision, to its successor Expo Dubai 2020 that will be crucial for a radical change of UAE economies and societies.

Milan and Dubai have to work together since now for the leadership of a new era of global “green” growth.

 

ATTACHMENT

*Expo 2015 SpA Green Procurement

Starting from 2009, 60 tenders have been awarded for the supply of goods and/or services and consulting, for a total of €19,578,776.21. In 12 of these, regarding amounts that cover 60.8% of the total economic value, candidates were also assessed on the basis of a series of “green” requirements that bidding companies had to satisfy, such as the commitment to reduce the environmental impacts connected to providing the subject service or supplies.

Table 1 – The green tenders carried out

YEAR SUBJECT OF TENDER GREEN CRITERIA

2010

Express courier service   for the delivery of letters and packages Use of vehicles with low   environmental impact
Letter head Printing on recycled and   certified paper

2011

Specialized support for   development and implementation of the climate-changing gases inventory of   Expo 2015 Commitment to reduce CO2   emissions
Services for   coordination, design, organization, implementation of events and/or services   and related suppliers, directly managed by the company Expo 2015 or by third   parties – LOT 1 and LOT 2 –  Commitment to reduce the   environmental impacts connected to organization of the Event;-  Possession of an Environmental   Management System with UNI EN ISO 14001:2004 or EMAS III certification;-    Adoption of measures aimed at reducing CO2 emissions during   the service
Activities involving the   graphical design, photolithograph, CD Rom production, printing, binding,   packaging and delivery of the Participants’ Guide –  Sustainable   processes and materials-  Adoption of an Environmental   Management System with UNI EN ISO 14001:2004 or EMAS III certification;-    Commitment to reduce the ecological footprint of activities and   products

2012

Implementation of an   Environmental and Safety Audit Program in the work sites of Expo Milano 2015  Commitment to reduce the environmental   footprint (CO2)
Food services for workers   during operations at the site base –    Commitment to reduce the environmental impacts directly linked to   management and organization of the service;-    Possession of an Environmental Management System with UNI EN ISO   14001:2004 or EMAS III certification
Global Site   Communications Activities for Expo 2015 Reduction of   environmental impacts linked to management and organization of the site   communications activities

2013

Management of lodgings,   cleaning, armed and unarmed security, maintenance and overall coordination of   operations at the site base –    Commitment to reduce the environmental impacts directly linked to   management and organization of the services;-    Possession of an Environmental Management System with UNI EN ISO   14001:2004 or EMAS III certification
Coordination, planning,   organization and execution of the event “Expo Days 2013” –  Commitment to reduce the   environmental impacts connected to organization of the service;-    Possession of an Environmental Management System with UNI EN ISO   14001:2004 or EMAS III certification;-    Adoption of measures aimed at reducing CO2 emissions during   the service
Executive design and   production of 20 statues –  Selection of sustainable   production materials and relative packaging for transport;-  Commitment to reduce the   environmental impacts linked to set-up, storage, handling and disposal;-    Possession of an Environmental Management System with UNI EN ISO   14001:2004 or EMAS III certification
TOTAL VALUE OF GREEN TENDERS

€   11,912,627.34

Source: Expo2015

Una lezione orizzontale dal Sinodo del Conflitto benedetto

di Michele Mezza

Dal versante meno prevedibile arriva la più spettacolare dimostrazione di come la rete non sia un feticcio, ne un prodigio, ma solo un linguaggio che  profila le figure sociali che la praticano esattamente come fu la fabbrica nel secolo scorso. Il conflitto che sta deflagrando al centro della Chiesa cattolica guidata da Papa Francesco sta sbigottendo il mondo. Il Sinodo sulla famiglia che si è chiuso domenica segna forse la prima ed unica al momento, occasione di un conflitto politico culturale indotto dall’irruzione della comunicazione a rete in una grande comunità  di pensiero e di attività, quale è la Chiesa. Sembra davvero stupefacente che i circuiti della comunicazione, a cominciare dai languidi Talk Show televisivi in crisi di astinenza di conflitto, non abbiano ancora registrato e  trovato il modo di raccontare questo passaggio epocale. E’ segno che ormai il sorpasso da parte degli utenti della comunicazione rispetto ai mediatori è largamente consumato.

Io non sono un esperto di cose cattoliche e tanto meno un attento osservatore dei movimenti che modificano equilibri e senso comune del Vaticano. Ma come semplice giornalista, come addetto alla fabbrica della comunicazione registro uno scossone potente. Già nel luglio scorso, quando fu annunciata la convocazione del Sinodo  notai una straordinaria novità, di metodo, dunque di merito: il vertice della chiesa. Per la prima volta uno dei poteri più verticali del pianeta per sua stessa definizione (su questa pietra edificherai in nome mio ecc. ecc.) si apriva ad una logica orizzontale da networking, procedendo ad una consultazione di massa sui temi nevralgici della famiglia e della sessualità , in tutta la galassia cattolica. Papa Francesco sembrava adottare il cosiddetto paradigma Arguilla, dal nome del teorico militare americano che lo ha elaborato, che recita: per battere un network bisogna farsi network. Il primato del Pontefice si apriva ad una condivisione su temi fondamentali della dottrina con il senso comune dell’intera comunità. Si trattava di una scelta che faceva facilmente prevedere   scosse sismiche squassanti .E’ tale è stato. I circa duecento vescovi chiamati a Roma a discutere nel Sinodo si sono trovati  di fatti  incalzati e insidiati nel loro primato teologica da quanto era affiorato nella consultazione capillare. Non solo, ma il Papa decideva anche di procedere per condivisioni interne successive più che per  rivelazioni  con trattate, e dava al sinodo un carattere processuale, di una discussione a focus, 10 circoli di confronto, che si sarebbe prolungata oltre i lavori dell’istituzione vescovile, abbracciando nell’anno successivo un ampio dibattito che avrebbe raccolto il senso comune dei fedeli. Solo fra un anno, dopo l’immersione nel Popolo di Dio, si tireranno le conclusioni che saranno verità di fede. Vi rendete conto che il metodo, per molti versi, è di gran lunga più eversivo del merito del dibattito. Certo che i nodi del riconoscimento nella famiglia cattolica delle forme di relazioni gay, o fra divorziati, aprono squarci nei dogmi secolari. Ma ancora di piu’ lo è una procedura che ineluttabilmente smantella gerarchie e poteri, ridisegnando modalità del tutto nuove nella gestione e mediazione del messaggio cristiano. Il conflitto divampato in questi giorni, per le forme spettacolari che ha assunto e soprattutto per l’assoluta trasparenza a cui ha dovuto piegarsi, dimostra che si sta giocando una partita campale. La strategia di Papa Francesco  riprende per altro  un filo che viene  da molto lontano, e che forse era rimasto sospeso. Penso all’intuizione di 50 anni fa, di Papa Giovanni XXIII di indire il concilio Vaticano II come scelta per ritrovare, disse all’apertura del concilio il papa, una “corrispondenza più perfetta all’autentica dottrina, anche questa però studiata ed esposta attraverso le forme dell’indagine e della formulazione letteraria del mondo moderno” La letteratura del mondo moderno oggi è la rete, e l’ascolto ne è la sua grammatica. In questo contesto appaiono forse più risibili le incertezze e  le domande che solitamente circolano nei consegni sulla comunicazione: ma davvero è questo il nuovo alfabeto? Ma davvero il partito dovrà essere ripensato? Sarà mai possibile una democrazia senza la centralità dei mediatori? Ma la TV generalista potrà mai essere sostituita? Quali sono le forme di giornalismo che potranno mai assicurare l’autorevolezza dei professionisti? Temi che diventano patetiche resistenze corporative quando si osserva che una delle comunità più solenni, come appunto la chiesa cattolica, cerca proprio nei nuovi linguaggi condivisi la strada per dare forza e attualità al messaggio divino. Una forza che vuole mantenersi  libera ed autonoma rispetto anche alle suggestioni delle culture più moderne. Pensiamo al tema della riprogrammazione della vita, o delle nuove forme di avere figli, o le nuove configurazioni del nucleo famigliare. Sono temi colossali  che si intrecciano direttamente con le forme di relazioni digitali. Il papa per riconquistare un protagonismo sovrano sceglie quella che cardinal Kasper ha battezzato la teologia dell’ascolto.

Credo che siamo solo all’inizio di una straordinaria nuova e sorprendente  storia umana. E chi si occupa di comunicazione farebbe bene a seguirla, da molto vicino. Lo stesso dibattito sulla rete partito in questi giorni sulla scia della nuova commissione Rodotà ,costituita dalla presidenza della Camera dovrebbe decifrarne la lezione: se la rete è strumento e linguaggio di una rivisitazione di pri9ncipi primari della convivenza può essere appaltata agli stati? Ma ancora con maggiori ragioni, potrà mai essere guidata da algoritmi privati e speculativi? E non sono questi nuovi irruenti poteri di linguaggi detenuti dai grandi imperi del software la vera minaccia da normare invece di predicare ormai banali diritti di accesso  ad un nuovo mercato? Chi si occupa invece di politica e di diritti dovrebbe  concentrarsi su Questo Sinodo e pensarne uno proprio, condiviso e deliberativo.

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