Innovatori Europei

Significativamente Oltre

Quale Buon Vento per la Cina

di Alberto Forchielli, Osservatorio Asia

Chi vive a Pechino sa bene che il clima non è l’attrazione della città. L’inquinamento è divenuto ora primo nella classifica al contrario delle piacevolezze offerte. La rigidità secca dell’inverno è conosciuta, testimoniata dalla neve sui giardini da novembre a marzo. A -20 – la temperature più fredda – solo il clima secco e il riscaldamento possono aiutare. D’estate l’umidità ha la sua rivincita, assestata sugli insopportabili 40 gradi. Eppure questi estremi sono tollerabili, perché appartengono al ciclo delle stagioni, sgradevole ma naturale. In primavera invece la città diventa spesso di color arancione, letteralmente. Il vento porta la sabbia del deserto e gli alberi ormai tagliati non possono difenderla come hanno fatto per secoli. Pechino è sulla linea di confine con il deserto del Gobi, l’immensa distesa arida che giace nel territorio mongolo. Nelle giornate più esposte non si riesce a vedere a pochi metri di distanza, come se una patina fosse spalmata sulle strade e i palazzi. Il vento che porta la sabbia reca tuttavia un grande beneficio: spazza l’inquinamento della città. La nuvola di grigio che generalmente sovrasta Pechino è invece ormai permanente. È una miscela velenosa, il risultato di tante componenti. Decine di milioni di persone vivono e consumano come mai nella loro esistenza; il riscaldamento si basa ancora sul carbone; 5 milioni di veicoli riversano nell’aria i loro gas di scarico, le ciminiere fumanti appartengono ancora al panorama della capitale. La situazione è ormai intollerabile. Gli allarmi si moltiplicano, le rilevazioni sono drammatiche, molti stranieri hanno abbandonato la città. Uno studio del Luglio 2013 dell’America’s National Academy of Sciences ha rilevato che l’aspettativa di vita nella Cina del nord è ridotta di 5 anni e mezzo a causa dell’inquinamento.

Le autorità stanno ovviamente correndo ai ripari. L’industria pesante è ormai fuori dal recinto metropolitano, il traffico viene talvolta bloccato, l’uso di energie alternative al carbone è incoraggiato. Se il problema ambientale è serio, altrettanto lo è il tentativo di risolverlo. Le misure prese hanno dei risultati attesi, scanditi dalle esperienze scientifiche. Il corso del vento sembra invece tradire le aspettative, perché non sempre riesce a spazzare il cielo dalle particelle di anidride carbonica. Per ironia si è scoperto che il flusso d’aria che soffia su Pechino si è ridotto anche per il tentativo di diffondere l’energia eolica. Una recentissima analisi della prestigiosa China Weather Net – un think tank statale che riunisce scienziati cinesi e statunitensi – ha con sorpresa stabilito che le torri che generano energia dal vento ne riducono la velocità. Catturano cioè la sua forza e impediscono i benefici effetti di pulizia sul cielo di Pechino. Sterminate wind farm (piantagioni di moderni mulini a vento) ne costellano il territorio a nord. La loro superficie nella Mongolia Interna è aumentata 31 volte dal 2007 al 2014. Le ripercussioni su Pechino – anche agli occhi di chi non è specialista – sono dirette e immediate. Sembra dunque che la Cina aggravi la sua situazione, tentando di alleggerirla. In realtà il paese è il più grande produttore di energia eolica, i suoi investimenti sono colossali, ma i risultati non in linea con le attese. Esistono ritardi, inefficienze, resistenze e scoperte impreviste come quella del China Weather Net. È una delle tante incongruenze del paese più grande inquinatore e allo stesso tempo più munifico nel dedicare risorse alla protezione ambientale. Significa che la posta in gioco è altissima, perché la Cina è stata disattenta nel passato – intenta a far crescere il Pil – e ora è probabilmente troppo tardi per correggere in fretta i propri errori.

Ambiente e Salute. Riqualifichiamo Pianura. Lunedì 15 dicembre

Lunedì 15 dicembre ore 16.30, c/o l’Istituto Comprensivo Statale Don Giustino Russolillo (ex-plesso Torricelli) in via E. Torricelli 5/c. si terrà l’iniziativa:

AMBIENTE E SALUTE

RIQUALIFICHIAMO PIANURA
Saluti delle associazioni e della Dirigente Scolastica Daniela Pes
INTRODUCE
GAETANO LA NAVE
NOI PER NAPOLI
INTERVENGONO
FRANCO ORTOLANI
ORDINARIO DI GEOLOGIA UNIVERSITA’ FEDERICO II NAPOLI
ANTONIO MARFELLA
ONCOLOGO ISTITUTO TUMORI PASCALE NAPOLI
ALDO LORIS ROSSI
URBANISTA EMERITO UNIVERSITA’ FEDERICO II NAPOLI
UMBERTO RANIERI
PRESIDENTE FONDAZIONE MEZZOGIORNO EUROPA
TOMMASO SODANO VICESINDACO DI NAPOLI con DELEGA ALL’AMBIENTE
LUCA COLASANTO
PRESIDENTE COMMISSIONE AMBIENTE REGIONE CAMPANIA
modera
ANTONIO DI MAIO
CORRIERE DI PIANURA

Matteo Orfini: “Basta pacchetti di voti e tessere. Cambieremo il PD romano”

Matteo Orfini: “Basta pacchetti di voti e tessere. Cambieremo il Pd romano” 

di Andrea Garibaldi, Corriere della Sera, 10 dicembre 2014

Di solito, a commissariare un partito locale arriva un dirigente da fuori. Matteo Orfini, inviato da Renzi a Roma, è romanissimo. Dice che non c’è problema, l’ultimo incarico a Roma l’ha avuto quando ancora non esisteva il Pd. La scelta è stata di mandare il presidente del partito a sciogliere il nodo “Mafia capitale”: «Ci vorrà la ruspa in certi casi, ma mostreremo la capacità di autorigenerarsi».

Come comincia il lavoro?

«Telefoniamo agli ottomila tesserati romani, uno per uno, per scoprire se sono iscritti veri o figli di pacchetti di voti utili per le primarie. Poi, verifìchiamo lo stato di salute degli oltre cento circoli. Affrontano i problemi del territorio? Discutono? E chi paga l’affitto? Se paga un parlamentare o un consigliere regionale c’è il rischio che sia un feudo privato. Avocheremo alla Federazione romana tutti i contratti d’affitto».

Il partito romano è diviso in correnti “armate”.

«I gruppi dirigenti, chiusi in correnti, hanno preso in ostaggio il partito. Se pensi allo scontro di potere interno, ti distrai dai problemi della città e ritieni che qualsiasi alleanza sia utile a quello scontro. Uccideremo le correnti non riconoscendole più. Agendo sui meccanismi di appartenenza, rompendo le filiere che vanno da consigliere municipale a deputato».

Primarie e preferenze?

«Per le primarie ci vorranno regole più chiare. Le preferenze in alcune realtà amministrative, come Roma e Venezia, possono alimentare infiltrazioni criminali. Meglio i collegi uninominali».

Quanto durerà il lavoro da commissario?

«A lungo. Segnalo però che nessun altro partito è intervenuto nella vicenda come noi. Il centrodestra non fa nulla, nonostante sia il principale protagonista di “Mafia capitale”. La Lega di Salvini a Roma è rappresentata da ex uomini chiave di Alemanno».

E alla fine di questo lavoro?

«Eleggeremo nuovi organi dirigenti. Il partito romano ha due volti: quello rappresentato nell’inchiesta e quello dei militanti che lavorano nelle realtà cittadine, degli organizzatori delle Feste dell’Unità. Dobbiamo restituire il Pd a questi ultimi».

“Mafia capitale” mostra politici che, anziché occuparsi di trasporti e rifiuti, fanno affari.

«Dobbiamo uscire dalla “Terra di mezzo”, tornare nel mondo reale. Per questo andrò con Marino al Laurentino 38».

Il Pd romano, prima dell’inchiesta, stava accerchiando Marino.

«Le intercettazioni dimostrano che Marino e la sua giunta costituivano un argine ai fenomeni messi in luce dai magistrati. C’era un’idea sbagliata del rapporto fra sindaco e partito. Per esempio, il partito non deve partecipare a rimpasti di giunta. Il destino del sindaco e del partito che lo esprime sono invece legati».

La cooperativa di Buzzi ha finanziato la campagna elettorale di Marino e una cena romana di Renzi. Saranno restituite quelle somme?

«Non so cosa verrà deciso. Si tratta di risorse ottenute legalmente da una cooperativa che era considerata il fiore all’occhiello nel suo campo. Di certo, si deve regolare meglio la relazione tra partiti e interessi economici».

Quindi nessuno scioglimento del Consiglio comunale e nessun ricorso alle urne.

«Lo scioglimento sarebbe una vittoria per la mafia. È stato deciso che il Prefetto avrà “accesso agli atti” del Comune e il sindaco Marino ora si sente più garantito».

Il Partito democratico sembra aver “scoperto” Marino con l’inchiesta.

«Personalmente non ho votato Marino alle primarie da sindaco. Dopo ho sempre dichiarato che andava sostenuto».

Ci si poteva accorgere prima di cosa accadeva a Roma?

«Bisognava avere la forza per intervenire prima. Ora dobbiamo prestare attenzione a eventuali situazioni che non funzionano nel resto d’Italia. Il governo ha appena dato un segnale fortissimo, varando nuove norme contro la corruzione».

Lei ha invitato chi sa ad andare in Procura e parlare.

«La magistratura va aiutata nell’opera che ha intrapreso».

Si apre formalmente la guerra dell’algoritmo.

di Michele Mezza

Con il fondo pubblicato oggi, venerdi 28 novembre sul Corriere della sera, a firma del vice direttore Daniele Manca, dall’esplicito titolo “Noi nudi davanti a Google”, diventa così senso comune anche in Italia il tema della dittatura dell’algoritmo.

Per la prima volta l’emergenza di un nuovo potere digitale che incrina e squilibra il sistema delle relazioni sociali ed istituzionali sopravanza la solita predicazione sui diritti negati alla rete.

Il voto del parlamento Europeo sul potere dominante che il gruppo di Mountain View ha ormai accumulato in Europa, con la conseguente necessità di separare l’attività del motore di ricerca dall’offerta dei servizi accessori , tipica norma anti trust che il liberalismo americano ha insegnato al mondo, rende più concreta e visibile il nuovo conflitto.

Persino una vestale del libero mercato anglo americano, come il magazine Economist rileva il problema, mettendo il copertina il logo di Google con la domanda: Schould Govermment break up digital monopolies?

Al momento, almeno in Italia, a guidare la critica a Google rimane la fragile tematica della privacy. Ossia di un sistema di diritti , tutti interni alla sfera del potere dell’individuo, assolutamente e liberamente negoziabili ,in cambio di servizi e commodities. Cosa che Google sa benissimo e pratica su scala planetaria. Tu mi concedi le informazioni sul tuo profilo io ti faccio fare bella figura nel lavoro e nelle tue relazioni supportando il tuo sapere e la tua potenza di calcolo. Diciamo che il pericolo viene identificato prioritariamente nei Cookies più che nell’algoritmo.

E’ questo uno scambio che noi stessi pratichiamo da tempo, quando usiamo una carta di credito o un telepass.

Diverso diventa invece il tema che affiora dal voto del parlamento europeo e dalla copertina dell’ Economist. Quanto può essere tollerata l’efficienza e la potenza tecnologica di un unico gruppo quando questo gruppo insidia l’autonomia e la sovranità di stati, comunità, e individui, nell’organizzare i propri saperi e trasmettere le proprie culture ai successori? In realtà è questo il vero tema.

Siamo , niente più e niente meno, che a quel 24 gennaio del 1984, quando l’Apple trasmise nel corso della finale del Super Bowl americano a San Francisco lo shoccante spot televisivo di Ridley Scott sul nuovo personal computer di Steve Jobs. Lo spot , faceva il verso al libro di Orwell 1984, e ammiccava allo scontro con un granbde fratello tecnologico e cvulturale che di identificava con l’allora gigante IBM, e terminava con l’esortazione: affinchè il 1984 non sia un 1984.

Il tema si p ripropone: la rete per non essere un grande fratello deve emancipare la conflittualità dei saperi o omologare in virtù di un gigantismo tecnologico? E l’accresciuto protagonismo del software nella nostra vita quotidiana può permetterci di delegare, come quotidianamente facciamo oggi, ogni nostro pensiero alla sintesi digitale che Google ci ammannisce con i suoi servizi? La prospettiva di aprire la scuola elementare al pensiero computazionale, come si chiede a gran voce, può essere occasione di un ennesima delega a Google che produce i principali tool tecnologici per la formazione di base? E ancora, l’imminente riorganizzazione del sistema editoriale e giornalistico, insieme a quello televisivo, può essere condotto semplicemente importando algoritmi di Google, come sta avvenendo?

Allarma che perfino una comunità di esperti e intellettuali critici, come quella raccolta dalla commissione sui diritti della rete, insediata dalla presidenza della Camera e guidata da Stefano Rodotà, continui, all’alba del 2014, a porre il tema di promuovere l’accesso alla rete, purchessia , piuttosto che rendere evidente che oggi, come spiega Bauman, il vero digital divide non riguarda l’uso di questa o quel congegno digitale quanto l’impossibilità di concorrere alla creazione di senso comune. E l’algoritmo è oggi linguaggio e strumento per organizzare pensieri e parole del senso comune. Più ancora di quanto cinema e letteratura potessero fare negli anni precedenti. E se su questi due settori prima gli USA, e poi la stessa Europa, hanno introdotto palesi eccezioni al liberalismo economico, codificando la necessità di proteggere i propri pensieri e le proprie opere, con leggi che supportavano l’eccezione culturale, non si vede perchè su una materia mille volte più pervasiva e minacciosa dobbiamo preoccuparci solo di come Google venda i nostri dati a produttori di biscotti.Non è questo tema per rifondare una nuova sinistra su un nuovo conflitto?

Meriti e limiti del piano Junker

di Francesco Grillo

Ci sono due buone notizie potenziali per l’Italia nel piano straordinario di investimenti che il Presidente della Commissione Europea Junker ha annunciato ieri. E due, altrettanto potenzialmente, negative.

Quella positiva è che si accetta, per la prima volta, che gli investimenti pubblici – quelli che avvengono sotto forma di contributi degli Stati al Fondo strategico che Junker renderà operativo a Giugno – possono avvenire senza pesare sulle regole del patto di stabilità. Ma anche che ci si pone l’obiettivo, finalmente ambizioso, di colmare con l’iniziativa della Commissione (che dovrebbe riuscire a mobilitare 315 miliardi di Euro) quasi per intero il buco di investimenti che ci separa dai livelli pre-crisi (370 miliardi nella stima della Commissione).

Ciò che lascia perplessi chi continua ad aspettare terapie d’urto, è che di “soldi freschi” ce ne sono pochi, come Junker ammette: la Commissione e la Banca Europea degli Investimenti vi dirottano 21 miliardi ed il resto dovrebbe venire da un effetto leva che è stimato poter essere pari a quindici. Ma, soprattutto, la notizia che dovrebbe preoccupare il presidente del Consiglio italiano Renzi è che lo strappo all’austerità arriva in cambio di un rafforzamento del ruolo di quei tecnici contro i quali il Presidente del consiglio ha condotto una battaglia personale. Non c’è nessuna garanzia che i soldi versati dagli Stati al Fondo rifluiscano ai Paesi in funzione dei versamenti effettuati; a decidere sarà un gruppo di tecnici (proprio loro) e i progetti saranno esclusivamente valutati sulla base del ritorno sociale che garantiscono e della capacità di mobilitare ulteriori investimenti da parte dei privati.

Il cambiamento di verso – non a 360 gradi, ma di certo significativo – al quale il Presidente della Commissione Europea affida la possibilità di caratterizzare il proprio mandato, è nelle parole che Junker ha scelto. Scelta resa ancora più delicata dalla necessità di dare una risposta sul piano della politica, all’appello con il quale Papa, sul piano dell’etica, aveva scosso il Parlamento europeo il giorno prima.

“Non abbiamo una macchina per stampare soldi”, dice Junker, e, del resto, “la possibilità di spegnere lo spettro della deflazione buttando da un elicottero banconote” – come farebbe un monetarista di Chicago – non esiste. Con i tassi di interesse praticati dalla Banca Centrale Europea, già c’è una montagna di liquidità di cui banche e imprese non sanno cosa fare. Inoltre, il capo della Commissione ribadisce che “non permetteremo di accumulare ulteriori debiti che spetterà alle generazioni future pagare”, perché – a differenza di ciò che succedeva negli Stati Uniti dove fu chiamato Keynes a risolvere il problema della depressione – il debito pubblico in rapporto al PIL è già al 90% e la spesa pubblica è vicina alla metà. Né tantomeno, si può immaginare di risolvere il problema “scavando buche per poi riempirle”, perché la stessa fine dell’Abenomics – per anni indicata come modello dagli avversari dell’austerità – in Giappone dimostra, come non sia risolutiva, una politica meramente espansionistica.

Non possiamo, dunque, permetterci un Piano Marshall e, tuttavia, il Piano Junker vuole comunque lanciare – facendo di necessità virtù – un’offensiva degli investimenti per sfuggire all’idea di aver perso un intero decennio nella stagnazione.  Con l’intelligenza indispensabile per intervenire sulle innovazioni – banda larga, infrastrutture di trasporto, scuola, ricerca, tecnologie – che maggiormente possono attivare processi di sviluppo. I soldi andranno dove c’è qualità progettuale e capacità istituzionali e, però, la conseguenza non è indolore e Junker sembra mettere le mani avanti: se “la crescita indotta dal Piano sarà più forte in Francia che in Italia” – l’esempio scelto sembra anche un avvertimento – l’Italia potrà, comunque, beneficiarne – dice consolatorio Junker – attraverso un aumento delle esportazioni.

Più investimenti, dunque. Ma anche un forte premio a chi ha le capacità istituzionali per farlo. Ed è qui che la vittoria di Renzi rischia di trasformarsi in un’ennesima vittoria a metà. Perché se è vero che la burocrazia europea è parte del problema, ciò vale ancora di più per quella italiana.

Siamo al ventiseiesimo posto su ventotto Paesi per capacità di spesa, ad esempio, degli investimenti finanziati con fondi strutturali che le regioni e le amministrazioni centrali avrebbero potuto impiegare per infrastrutture come quelle sulle quali il Fondo di Junker concentrerà tre quarti delle sue munizioni. Il problema, peraltro, non è solo al Sud – la Puglia ha fatto meglio del Lazio nella passata programmazione – e non solo delle Regioni – il Ministero della ricerca è una delle amministrazioni alla quale in passato sono state tagliate maggiormente le risorse per evitare guai peggiori. Peraltro, non solo perdiamo per strada – come spesso si sente dire – tanti dei soldi che ci spettano. La novità è che presto la Commissione Europea potrebbe, persino, chiederci la restituzione di alcuni miliardi di euro per finanziamenti spesi per progetti che non sono stati completati o che non funzionano: ciò potrebbe, ad esempio, portare in bancarotta centinaia di amministrazioni comunali in Campania.

Non molto migliori sono le prospettive sulle infrastrutture telematiche: il Fondo di Junker potrebbe fornire un’iniezione di liquidità assai significativa al progetto ambizioso appena annunciato dal Governo, di voler portare la percentuale di popolazione italiana coperta da banda ultra larga dallo zero all’85%, da qui al 2020. Tuttavia, la strategia dell’Agenzia digitale di crescita dei servizi – soprattutto, pubblici – che dovrebbero incontrarsi sulla nuova autostrada informatica, non appare ancora in grado di “vedere” le tecnologie come fattore di trasformazione radicale dell’organizzazione di comparti come la sanità, la giustizia, la scuola. In questo contesto, l’autostrada potrebbe rimanere inutilizzata e destinata a logorarsi.

Migliore è, tuttavia, la prestazione dell’Italia quando alla “gara europea per la crescita”, partecipano direttamente le singole università e le imprese senza l’intermediazione delle amministrazioni pubbliche. Sui cosiddetti “programmi quadro” l’Italia è al quarto posto: potremmo fare meglio, ma questo è un dato che deve far pensare che, seppur impoverito, il settore privato e quello della ricerca è più intraprendente di ministeri e regioni.

Ottima la notizia di una grande sfida progettuale lanciata all’Europa. Per vincerla, però, è fondamentale fare un salto di qualità in Italia. E decidere di rottamare – sul serio – quei burocrati che sono più responsabili della Germania della crisi di investimenti e fiducia che ci fa soffrire più dell’Europa.

Che le risorse si spostino – anche in Italia – dalle amministrazioni incompetenti a quelle più capaci. In maniera trasparente così che gli elettori sappiano chi punire e chi premiare. E dal pubblico al privato, se necessario. Con una frazione dei miliardi di euro di fondi strutturali che avranno, a disposizione nei prossimi sette anni le amministrazioni italiane, potremmo anche noi cercare un effetto leva: istituire fondi chiusi che investano nelle “specializzazioni intelligenti” e nelle aree territoriali che il governo avrà identificato, lasciando a operatori finanziari internazionali che ci mettano soldi e competenze il compito di selezionare specifici progetti di innovazione.

Il sottosegretario Del Rio sembra aver colto la necessità che aldilà delle cifre in gioco, c’è da fare un cambio di passo. Un investimento in intelligenza. Da qualunque parte arrivi. Responsabilizzando tutti sui risultati di una partita che non possiamo assolutamente perdere.

 

 

 

 

Campagna di sensibilizzazione “ Diamoci la mano” contro discriminazioni e violenze 2014

Tavolo provinciale Patto di solidarietà sociale

Presidente Giuseppina Bonaviri

Aderiamo anche questo anno alla Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne consapevoli che le diversità non sono un deterrente ma aiutano lo sviluppo delle menti e delle idee in sintonia con il mandato che, nell’Area Vasta della ex provincia, abbiamo assunto già dall’apertura della Campagna di sensibilizzazione contro violenze e discriminazioni con la marcia che l’8 marzo di questo anno ci ha viste-i impegnate-i con il coinvolgimento degli amministratori dell’intera provincia, delle scuole dell’intero comprensorio ciociaro e della tanta cittadinanza che ha voluto condividerne questi momenti. L’ evento pubblico presso il Palazzo dell’Amministrazione Provinciale di Frosinone dal 24 al 28 novembre, -importante per contenuti e progettualità- diviene l’ occasione centrale per ribadire, quali sono gli obiettivi che Governo ed Enti locali dovrebbero svolgere per la prevenzione della violenza, la protezione delle vittime, la promozione delle pari opportunità e come la partecipazione attiva possa determinare, anche in questa occasione, il cambiamento in un momento storico di impoverimento delle culture.

La Riunione interparlamentare presso il Parlamento europeo del 5 marzo 2014 fu l’occasione, per la presentazione dell’Indagine sulla violenza di genere contro le donne in Europa, realizzato dall’Agenzia europea dei diritti fondamentali. Lo studio fatto su larga scala, iniziato nel 2011, basato sull’intervista di oltre 40.000 donne (circa 1.500 per Stato membro) di età compresa tra 18 e 74 anni circa la loro esperienza di violenza fisica, sessuale e psicologica, di vittimizzazione nell’infanzia, di molestie sessuali e stalking, e di abusi subiti via Internet è stata completata nel settembre del 2012 e presentata in  occasione della Riunione di questo anno. I risultati dell’indagine sono stati quindi resi pubblici nella Conferenza di lancio “Violenza contro le donne nell’Unione europea: abusi a casa, sul lavoro, in pubblico e on line”. Ma oltre i dati, a che punto siamo in Italia? Sappiamo bene che gli obiettivi enunciati nella Convenzione di Istanbul e nelle conferenze intragovernative europee dovrebbero  trovare riscontro nella sostanza e nelle pratiche a partire dalle infinite periferie come il nostro territorio ma constatiamo sulla nostra pelle di donne , quotidianamente che nulla di quanto detto si avvera. Per il diritto penale, se si esclude il delitto di mutilazioni genitali femminili, il genere della persona offesa dal reato non assume uno specifico rilievo e conseguentemente non è stato fino ad oggi censito nemmeno nelle statistiche giudiziarie. Dunque la mancanza di dati statistici aggiornati sul numero di delitti commessi a danno di donne è stata negli ultimi mesi più volte stigmatizzata; ciò che appare evidente è peraltro che i sempre più drammatici, frequenti ed efferati episodi di cronaca, hanno certamente elevato la percezione della violenza nei confronti delle donne come un fenomeno in aumento ( muore una donna violentata ogni due giorni).

La iniziativa che il tavolo provinciale sta organizzando vuole tornare ad far riflessione sulle criticità in materia di parità di genere esistenti in Italia.

Affrontando temi come l’uguaglianza di genere nel lavoro, l’esigenza di conciliare lavoro e famiglia, la presenza delle donne nelle posizioni decisionali, le recenti misure per combattere la violenza contro le donne nonché la salute e i diritti riproduttivi con un percorso visivo ed artistico partecipativo la nostra provincia pone le basi affinché si provi a raggiungere risultati soddisfacenti.

Molte le performances artistiche e le testimonianze previste per questa manifestazione provinciale che staranno a simboleggiare la costruzione della reale Rete Integrata nascente nell’Area Vasta tra  società civile e istituzioni, movimenti e realtà coinvolte anche a livello extraterritoriale per la lotta alla violenza di genere. Importante la partecipazione delle scuole che saranno presenti con le loro opere provenienti da tutta la provincia e che , assieme ad artiste ed artisti, ci dicono che si può segnare il passo di una evoluzione, di quella svolta che deve interessare l’intera comunità. Sarà l’ occasione per stare insieme in silenzio, senza fare vetrine tenendo accesa una fiammella nel ricordo di tante donne vittime. Una battaglia contro l’indifferenza e l’intolleranza, a favore dei diritti e dell’equità di tutto il genere umano.

 

L’Europa ha bisogno di una “terapia choc” per uscire dalla crisi

Il Piano di investimenti europei (Eur 800 mld nel 2015-2020) per la transizione economica sostenibile del vecchio continente – oggi proposto dal PSE  – sommato al massiccio stimolo monetario avviato da BCE l’ultima chance per invertire una terza lunga stagnazione, che potrebbe essere letale.
Speriamo diventi subito una proposta condivisa.
Gli Innovatori Europei

Oggi, il gruppo S&D ha proposto di creare un nuovo fondo da 400 miliardi all’interno del piano di investimenti per promuovere la crescita e l’occupazione in Europa.

Il piano è stato presentato oggi durante una conferenza stampa a Bruxelles.

Il presidente del gruppo S&D Gianni Pittella ha dichiarato:

“Per la prima volta dopo l’era Barroso, crescita e flessibilità sono seriamente prese in considerazione dalla Commissione. Questo nuovo approccio potrebbe rappresentare l’inizio di una rivoluzione per l’Europa.

“Vogliamo portare avanti una terapia choc. Una terapia choc attraverso l’investimento di nuove risorse fresche (pubbliche e private), nuovi strumenti di investimento europei e finalmente l’azione di una ‘clausola per gli investimenti’ associata al piano di Juncker: il denaro pubblico speso dagli stati membri per determinati progetti europei non deve essere calcolato nel computo del deficit nazionale.

“Non è più tempo di mezze misure. E’ tempo di decisioni coraggiose e sagge. Abbiamo proposto una terapia choc per far partire la ripresa della nostra economia e salvare l’Europa da lotte sociali, populismi e disintegrazione”.

La vicepresidente del gruppo S&D per lo Sviluppo sostenibile, Kathleen van Brempt, dichiara:

“Gli investimenti senza capo né coda non rimetteranno l’Europa in carreggiata. Ciò che importa non è soltanto la quantità degli investimenti, ma dove le risorse saranno investite.

“La transizione verso un’economia sostenibile e basata su un uso efficiente delle risorse è la priorità e la sola strada che abbiamo davanti. Gli investimenti devono essere mirati alla transizione e all’efficienza energetica, all’economia digitale, all’innovazione e alle risorse umane, favorendo così la creazione di nuovi posti di lavoro. L’Europa deve focalizzarsi su progetti che non potrebbero mai svilupparsi senza lo stimolo di investimenti pubblici”.

La vicepresidente del gruppo S&D per gli Affari economici, finanziari e sociali, Maria João Rodrigues, aggiunge:

“Oggi l’Europa si trova dinanzi al rischio di un lungo periodo di bassa crescita e di disoccupazione di massa. Siamo anche di fronte a un deficit di investimenti stimato in 300 miliardi all’anno. Gli Stati membri hanno bisogno di recuperare la flessibilità in modo da essere in grado di investire. Occorre ripristinare sia gli investimenti privati, sia quelli pubblici. I fondi pubblici devono servire come leva per attrarre gli investimenti privati. Forme leggere di sovvenzioni, come ad esempio un prestito senza interessi, potrebbero sbloccare molti progetti importanti che altrimenti non potrebbero permettersi il finanziamento a condizioni puramente commerciali. Gli investimenti europei devono riguardare tutti gli stati membri dell’Ue ed essere rivolti al sostegno delle regioni in crisi”.

La vicepresidente del gruppo S&D per il Bilancio, Isabelle Thomas, ha sottolineato:

“Non sosterremo un ‘finto’ piano di investimenti”. Abbiamo bisogno di denaro fresco. Per questo proponiamo di creare un fondo speciale. Il capitale iniziale sarebbe gradualmente fornito dagli stati membri dell’Ue per raggiungere i 100 miliardi entro entro sei anni. Tali contributi nazionali dovrebbero essere esentati dal calcolo del deficit e del debito pubblico.

“Su questa base, il fondo potrebbe mobilitare ulteriori 300 miliardi messi sul piatto dagli investitori privati. Questa capacità finanziaria pubblica di 400 miliardi potrebbe generare un totale di 500 miliardi di euro di investimenti pubblici e privati”.

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