Primarie (PD) senza Rete
di Michele Mezza
Dopo l’ondata di annunci e sollecitazioni on line, con email e sms che a Roma e Napoli si era sollevata con le primarie, ritorna il gelido silenzio fra elettori ed eletti.
E’ davvero singolare quest’uso frenetico delle rete da parte dei candidati politici. Si arroventa nei pressi del voto, si iberna subito dopo.
Qualcuno pensa anche di essere un candidato digitale, come capita a Napoli all’ex sindaco Bassolino bruciato sul filo di lana nella consultazione interna del PD napoletano, solo per aver organizzato meglio il megafono on line.
In altri casi siamo alle4 solite catene di S. Antonio diffuse oltre che con i me4zzi più tradizionali, telefono e richiami amicali, via social. Ma niente di più.
Non è un problema di dimestichezza con i nuovi linguaggi, che ormai nuovi non sono più da vari lustri.
E’ proprio un nodo politico, di più, un indicatore del modo con cui si intende la relazione fra governanti e governati .In altri tempi si sarebbe detto : è un fatto conseguente alla concezione del partito.
La campagna elettorale è un fenomeno in cui il consenso, lo si dimentica spesso, è la conseguenza e non la causa della relazione fra candidato ed elettori. Il contenuto che da forma al legame è il programma. Ossia l’impegno che il candidato prende rispetto a specifici temi e su cui chiede un mandato. Ecco proprio il mandato è la materia prima del legame che si vuole stringere.
Tanto è vero che in un movimento come i 5S di grillo il tema del mandato sta diventando dirompente.
Infatti se l’identità e la ragione, quella che si chiama nel marketing la value proposition, che caratterizza un’opzione politica , è solo uno stato d’animo, o, come accade prevalentemente nelle primarie, è solo una personalità, un nome, un gruppo che si raccoglie attorno ad un personaggio, allora le modalità di selezione dei voti che si realizza sulla rete diventa inevitabilmente una sollecitazione ad omologarsi, ad arruolarsi, in quella schiera. Dopo di che è evidente che ad ogni allentamento dello stato d’animo- sono a favore o contro una certa situazione o un certo leader- si sfilacciano i motivi di solidarietà e fedeltà. Così come accade, se tutto è puramente basato su plebisciti nominalistici allora all’insorgenza di altre personalità diviene naturale osservare cambi spettacolari di schieramento. Insoimma se è tutto solo un semplice proce4sso di adesione ad un’offerta politica debole, o emotiva, le identità e le solidarietà sono altrettanto deboli e mobili.
Il tutto diventa clamorosamente evidente nel riflesso delle relazioni che si costituiscono in rete.
Una campagna tutta basata semplicemente sulla discriminante emotiva – noi siamo buoni e gli altri cattivi- o nominalistica – stai con me o contro di me – ha come unico linguaggio lo stalking politico che quel genio di Totò sintetizzo con il tormentone : votantonio, votantonio, votantonio, gridato con il megafono nel cortile di un grande condominio, o scandito digitalmente in rete con email o sms.
Un modello unidirezionale, top down, che riproduce fedelmente il sistema più arcaico della propaganda politica, ereditato dai vecchi partiti di massa. Un sistema che quei partiti vivevano intensamente perché riferito a ceti sociali identitari e culturalmente estremamente definiti, come erano le basi sociali del PCI o della DC nei decenni scorsi. In quelle situazioni la campagna elettorale doveva consolidare e concludere un lungo proce4sso di convergenza e identificazione di larghe masse nel gruppo dirigente di partiti che ne rappresentavano interessi e richieste. Il manifesto elettorale era la ciliegina finale su una torta che si impastava e cuoceva ogni giorni negli anni precedenti nelle sezioni, nei circoli, nelle associazioni di categorie nei sindacati.
Oggi, si spara nel mucchio. Ci si rivolge ad un indefinito mosaico sociale, estremamente frantumato e parcellizzato, in cui il legame fra base e vertice si costituisce proprio nella stipula del micro contratto elettorale.
La campagna propagandistica oggi riassume e riflette anche la forma organizzativa e il radicamento sociale dell’organizzazione politica. Diventa essenziale dunque che l’atto, la meccanica, promozionale sia fortemente interattiva, sia, cioè, in grado di costituire e consolidare rapporti di delega diretta da singoli frammenti sociali al leader.
Il linguaggio di questa forma di comunicazione organizzativa è il social. Ossia un luogo dove si negoziano le forme di rappresentanza politica sulla base di una convergenza di contenuti e di stili di comportamento.
Le piattaforme social sono oggi , potremmo dire, la nuova forma partito. Sono luogo e linguaggio di quel processo in cui Manuel Castells nel suo saggio Reti di Indignazione e di speranza (Bocconi editore) spiega che “il potere è esercitato tramite la costituzione di significati nell’immaginario collettivo”.
Dunque non solo il mandato e la rappresentanza ma proprio la gestione della governance avviene mediante una capacità di imporre e concordare “significati” nell’immaginario sociale .
E’ proprio quanto riuscì a fare Barak Obama nella sua miracolosa compagna elettorale del 2008, quando scombussolò ogni previsione e ragionamento sociologico, cambiando completamente la base sociale di quel voto, grazie ad una potente azione di proposta e condivisione di “significati nell’immaginario collettivo.” Un’azione che non fu realizzata, e non poteva esserlo per gli interlocutori che erano stati scelti, top down mas proprio bottom up, tutta inevitabilmente e faticosamente dal basso.
Ancora Castells infatti precisa :”la comunicazione è il processo di condivisione dei significati tramite lo scambio di informazioni”.
Uno scambio che rende paritaria la posizione del singolo elettore e quella del singolo candidato. Anzi se una prevalenza vi deve essere sta proprio nella capacità del candidato di cedere all’insieme dei suoi elettori la scena per renderli soggetto comune e identitario, forzando la loro natura frammentata. Come infatti testimoniò David Axelrod, lo stratega di quella straordinaria campagna elettorale che sorprese l’America: Obama ha vinto non perchè ha usato la rete per parlare con i suoi elettori, ma perchè tramite la rete ha fatto parlare gli elettori fra di loro”. In questa scelta si coglie la coerenza e la magia della leadership digitale che coglie e valorizza la vera specificità del nuovo mezzo: l’ascolto e la condivisione sociale permanente.
Internet è infatti, come disse una volta uno dei suoi padri naturali, Tin Berner-Lee, una listening technology non una speaking technology.
Rispetto a questo quadro possiamo misurare la miseria della politica nazionale. Sia nella versione grillina, in cui la rete è solo un gigantesco schermo che moltiplica e facilità la diffusione di messaggi verticali. Anzi nelle ultime soluzioni la rete diviene anche il grande fratello che coglie la devianza e punisce il dissenso.
Sia nella versione petulantemente predicatoria dei questuanti dei voti che la utilizzano come una pervasiva mano che ci tira la giacca all’ultimo momento.
Se misuriamo e analizziamo la tipologia dei messaggi che ad esempio a Napoli ed a Roma hanno diffuso gli accounts dei candidati alle primarie troviamo solo annunci, solleciti e promemoria. Mai una vera conversazione.
L’unica parziale giustificazione per questa pacchiana malversazione comunicativa è che la rete non tollera tergiversazioni, distrazioni, esorcismi. Costringe tutti i candidati o i propagandisti a misurarsi con i temi che la rete stessa propone. Innanzitutto se stessa: che posizione ha un candidato sindaco sulle strategie di cablaggio della città? Si può parlare in rete senza avere un’idea di come diffondere l’accesso alla rete?
Secondo i conflitti che affiorano in rete: privacy, monopoli digitali, subalternità culturali, inibizioni e censure, prevaricazioni autoritarie. Infine il tema dello sviluppo e della competitività in rete. Oggi non possiamo pensare di rivolgerci ad interlocutori che agiscono in rete ignorando che l’unico tratto comune che questi mostrano è la propria ambizione, culturale, sociale, economica, o anche solo personale, ad affermare la propria identità, quello che Bauman chiama “ la nuova lotta di classe, la lotta per apparire”.
Obama negoziò punto per punto il suo programma sull’ambiente, la net neutrality, il copy right, la digitalizzazione del paese. E portò 39 milioni di americani digitali che non avrebbero votato alle urne.
Cosa propone invece in Italia il candidato di Roma o Napoli ad un cittadino, ad un quartiere, ad una community per il futuro: vinceremo insieme o no e come ?
Parlare in rete significa condividere e concordare strategie e non solo fedi. Il silenzio digitale che segue ogni frenesia propagandistica ci dice che siamo ancora lontani, troppo lontano per dare un’affidabile aspettativa al popolo digitale. E dunque non stupiamoci se il popolo digitale ignora le tirate di giacca.
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