Come cambiano le Regioni
di Giuseppina Bonaviri
L’8 ottobre scorso in Senato approdava la discussione sul disegno di legge costituzionale per la costruzione delle nuove Regioni. Gaeta e Cassino dovrebbero tornare campane come lo furono fino al 1927. La Campania , infatti, dovrebbe proseguire fino a Sabaudia e a Fiuggi assorbendo Frosinone e Latina che varranno circa un milione di abitanti.
La proposta si ripromette di semplificare l’architettura del regionalismo italiano anche per ridurre la spesa pubblica, razionalizzandone i costi, razionalizzando la proliferazione di centri decisionali di spesa e programmazione sempre troppo spesso apparsi inopportuni ed inquinati. Delle attuali Regioni otto si prevede che spariranno -nell’ipotetica geografia della riforma- ma in realtà ancora non si conosce cosa sarà sancito nel masterplan. L’esigenza di una riduzione delle Regioni nasce nel 1992 su proposta della Fondazione Agnelli con la volontà di volere cambiare l’articolo 131 della Costituzione.
E’ certo che le Regioni troppo piccole hanno costi maggiori. Nelle frammentazioni in corso di studio le regioni autonome sparirebbero e di quelle a statuto speciale rimarrebbero solo la Sicilia e la Sardegna. Il Lazio subirebbe la suddivisione più drastica: Viterbo con la Toscana, Rieti con le Marche ( la cosiddetta Regione adriatica), Frosinone e Latina con la Campania e Roma, rimasta sola, come distretto della Capiate. Per la Lucania ci sarebbe da auspicare che diventi una Regione cerniera tra Campania e Calabria senza sottovalutare che le quattro regioni meridionali oggi destinatarie dei fondi europei se si unissero diverrebbero la prima Regione italiana con 13,5 milioni di abitanti trasformando cosi non solo la geografia ma la storia d’Italia.
Gli innovatori da anni stanno lavorando alla realizzazione di una piattaforma infrastrutturale per la ridefinizione di una “geografia di visione” che porti nuovo ossigeno alla grande cultura del Mezzogiorno, culla del Mediterraneo ritenendo che questo focus sia fondamentale per il rilancio della Nazione.
Ora viene da pensare che improvvisazioni sul tema che stanno arrivando da parte di eletti e politici non nascano per migliorare strategia e progettualità necessarie ad imporre una buona politica territoriale ma vengano stimolate da istanze personalistiche di convenienze elettorali e di interessi economici disonesti, affatto lungimiranti ne tanto meno propense al rispetto e alla conoscenza della storia del nostro bel Paese.
Le buone prassi non chiedono chiacchiere ma competenza e metodo insieme ala serietà ed al rigore morale.
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