Cari precari, vi racconto dell’indennità di presenza
di Pasquale Russo (su Quel che è stato è Stato)
C’era una volta e ora non c’è più: l’indennità di presenza e anche la Fnle Cgil.
Innanzitutto ho necessità di parlare di preistoria, di dinosauri e mammuth. So che risveglierò amici e avversari e mi prenderò anche qualche parolaccia, ma la storia di ognuno è quella che è e non vale la pena né di nasconderla, né di negarla.
Per un po’ di anni ho fatto il sindacalista, iscritto al Pci dal 1978, quando fui assunto in Enel a Roma nel 1981, la Cgil di categoria la Fnle (Federazione Nazionale Lavoratori Energia) mi propose come candidato al Cuda (Consiglio Unitario Delegati Aziendali) ero giovane, ingegnere e facevo politica da quando avevo 14 anni con la (per me mitica) Avanguardia Operaia, avevo imparato in università a mettere in fila due parole che avessero un senso e potevo rafforzare la componente comunista del sindacato.
In pochi anni (7 o 8) divenni segretario comprensoriale del comparto elettrico Enel e in un momento di crisi profonda del sindacato in Acea, allora azienda pubblica comunale di Roma, mi inviarono a dirigere il gruppo dirigente sindacale di questa azienda.
La Fnle era costituita da tre settori principali: i lavoratori dell’Enel, dell’Acea e della Romana Gas. I poveri del comparto erano quelli del gas, i ricchi quelli dell’Acea.
La differenza di retribuzione tra un operaio del gas ed uno dell’Acea era abissale, molto più del doppio.
Oltre al fatto che in Acea la carriera era automatica, si faceva per anzianità, moltissime erano le indennità aziendali che si aggiungevano al contratto nazionale e che avevano portato il costo del personale ad esplodere, tra queste c’era la famosa in questi giorni, indennità di presenza.
Esatto, in Acea c’era l’indennità di presenza, cioè ogni giorno che si era presenti al lavoro si percepiva una indennità aggiuntiva del 9% della retribuzione lorda. Non era l’indennità più strana, si consideri che gli sportellisti percepivano la cosiddetta indennità di cravatta.
Ovviamente per noi di Enel e Gas era una cosa incomprensibile, come dire poiché sono assunto in Acea mi devi dare lo stipendio, se poi vuoi che vengo al lavoro mi devi premiare, naturalmente nessuno faceva niente finché…
Nel 1990 l’Acea fu commissariata a causa di una grossa crisi economica e l’allora Commissario mostrò a noi segretari lo stato dei conti: una catastrofe, i costi del personale totalmente fuori controllo, stato della rete pessimo, livelli di continuità del servizio da terzo mondo, ecc. ecc..
Così, a fronte di un piano di assunzioni, di rilancio e investimento sul rifacimento della rete elettrica per migliorare il servizio, accettammo che andassero ridimensionati i costi del personale, quindi modifica dei percorsi di carriera e blocco dell’indennità di presenza.
Nei fatti, i miliardi di lire risparmiati su queste indennità venivano spostati sul miglioramento del servizio ai cittadini.
Così firmai l’accordo, mi sembrava giusto che l’azienda diventasse un’azienda sana, con costi di personale negli standard di un azienda industriale, che il servizio al cittadino fosse il centro dell’iniziativa anche sindacale, che all’interno del comparto energetico ci fosse una perequazione tra le retribuzioni di lavoratori che in Enel o gas facevano lo stesso lavoro. Ora però l’accordo andava approvato dai lavoratori nelle assemblee, insomma dovevano far approvare ai lavoratori una riduzione del loro stipendio futuro.
Apriti cielo! Le posizioni più estreme le assunse l’allora comitato politico di via dei Volsci e naturalmente il consiglio dei delegati aziendali dell’Acea si mise di traverso.
L’Acea aveva 4500 lavoratori divisi per 58 luoghi di lavoro e così a me e ad un paio di altri segretari toccò la fatica solitaria di fare 58 assemblee, con una parte dei lavoratori contro, ma soprattutto i delegati Cgil aziendali contro.
Per fortuna i lavoratori furono più saggi dei loro rappresentanti e approvarono a maggioranza l’accordo sindacale e così l’Acea uscì dall’essere un ufficio decentrato del pubblico impiego e si avviò ad essere un’azienda industriale. In quello scontro storico furono rieletti anche i delegati aziendali e dei molti giovani che allora sostennero nelle assemblee la scelta della Cgil, oggi alcuni occupano posizioni importanti. Rinnovammo l’azienda e rinnovammo il sindacato.
Poi nel 1993 arrivò Chicco Testa come presidente e proseguì con lui l’opera di risanamento in un sano confronto dialettico. Naturalmente la storia ha dato ragione a me, l’Acea ha rifatto tutte le cabine e ha chiuso ad anello la rete elettrica.
Forse il 43% di giovani senza lavoro non capiscono e fa rabbia sapere che ci sono occupati che percepiscono una retribuzione aggiuntiva semplicemente perché si recano al lavoro e a questo i sindacati dovrebbero pensare.
Queste ingiustizie, trascurate per anni, hanno contribuito a fare dell’Italia il paese che ora è, terra di disuguaglianze abissali (le dieci persone più ricche percepiscono quanto 500 mila operai), terra dove il merito e il talento sono un problema, terra che aveva il suo futuro nell’industria manifatturiera e che ha visto progressivamente sparire le fabbriche e le aziende artigiane.
E la Cgil anch’essa è cambiata, allora stava con la perequazione e con l’industria. Ora?
Pasquale Russo
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