Riforme Costituzionali: Un Senato delle Competenze
Non è dato sapere ad oggi se il tentativo di Matteo Renzi andrà a buon fine. Sia per quanto riguarda la modifica della legge elettorale che quella del Titolo V della Costituzione, oltre che per mutare il Senato nella Camera delle autonomie. E’ operazione comunque utile rivisitare quanto i padri costituenti elaborarono in particolare nell’introduzione del bicameralismo, succintamente e per come è possibile fare in questa sede. E’ noto a tutti che la scelta era fortemente influenzata dall’appena trascorso ventennio fascista e dalla conseguente necessità ravvisata di rafforzare i meccanismi di controllo democratico grazie a un doppio, uguale, passaggio in due diverse ma funzionalmente sovrapponibili assemblee elettive. Eppure ci fu chi, e fra questi Costantino Mortati, voleva introdurre, specificatamente per il Senato, attribuzioni, composizioni, meccanismi d’elezione differenti: doveva, il Senato, farsi portatore delle forze vive del paese e della complessiva struttura sociale italiana. Per Mortati i membri del Senato dovevano essere per metà eletti a suffragio universale diretto, e per l’altra metà a suffragio di sola rappresentanza in speciali collegi formati in base all’appartenenza dei cittadini alle categorie produttive, scientifiche, industriali, culturali, scientifiche, commerciali, della scuola, della sanità, della pubblica amministrazione… L’ipotesi Mortati, palesemente elitaria, e anche riconducibile a una camera delle corporazioni, non fu portata avanti, ma val la pena riprenderla, come pure è stato fatto e si sta facendo, in ambiti non particolarmente frequentati dalla pubblica opinione ma che meritano riflessione e approfondimento. Partendo, ad esempio, dall’operazione portata avanti dal senatore a vita l’architetto Renzo Piano nel suo studio al Senato: lavorare per il suo progetto di ‘grande rammento delle periferie’, come lui stesso lo ha definito in un vera e propria sede di lavoro. L’idea più complessiva è quella di intrecciare o avvicinare la sfera delle conoscenze a quella delle decisioni. Di coniugare, nella inarrestabile entropia crescente, nella complessità del mondo in cui viviamo, nell’arduo, e sempre più arduo, compito delle scelte responsabili che i decisori politici devono compiere, il sapere con la politica. Così che, sia con un dibattito pubblico sulla stampa sia attraverso documenti redatti, se pur non immediatamente reperibili, si affaccia l’ipotesi di un Senato delle Competenze, come è stato definito. Un luogo, cioè, non solo fisico in cui trattare questioni di interessi nazionali e dei diritti. Camera delle Autonomie ma non solo: anche della cultura, dell’ambiente, della scienza, della tutela dei beni artistici e paesaggistici. Il ministro uscente dell’istruzione, dell’università e della ricerca, Maria C. Carrozza, ha di recente riassunto efficacemente i lineamenti essenziali di questa proposta, parlando di una Camera differenziata oltre che regionalizzata, un Senato delle competenze, appunto: rappresentare le regioni e insieme proiettarsi istituzionalmente verso discipline specializzate in ambito culturale e scientifico. Una camera dei saperi nel campo energetico, economico, di particolare interesse sociale, della bioetica, espressione alta e specializzata di scienza e cultura: raccordo, come si diceva, fra risultati della elaborazione e della produzione scientifica e momento normativo. Sede, inoltre, di dibattito e approfondimento di grandi temi, superando i limiti, da tutti ormai riconosciuti, del bicameralismo paritario, senza duplicazioni di compiti e conseguenti lentezze funzionali.
Sembrerebbe utopia, parlare oggi di queste cose, stante l’attenzione rivolta quasi per intero alla difesa dei meccanismi di selezione per le assemblee elettive, tutta giocata dentro logiche di schieramento volte perlopiù a demonizzare concorrenti e finanche parti dello stesso schieramento. Ma accanto all’ineludibilità di dover sciogliere il nodo della governabilità non disgiungendolo completamente da quello della rappresentanza cui il gioco degli sbarramenti, delle preferenze, del collegio unico nazionale direttamente rimandano; accanto alla fuoriuscita dalla ‘leale concorrenza’ fra articolazioni dello stato (come eufemisticamente è stato definito il groviglio di competenze, responsabilità, attribuzioni spalmate e sovrapposte in maniera tale da rendere inoperativo il sistema paese) e dall’assurdità di assegnare a Regioni compiti che è indispensabile tornino sotto l’egida dello stato centrale (ambiente, energia, beni culturali… ), come si volle in una stagione di federalismo verificatosi assolutamente improponibile, semplicemente non praticabile, accanto a tutto ciò, il superamento del bicameralismo può avvenire non solo con una sottolineatura forte attribuita alle autonomie locali, ma con il riconoscimento di compiti d’alto profilo da attribuire a una delle due Camere del sistema istituzionale. Se stagione costituente ha da essere, e non sembri troppo roboante l’aggettivo, l’occasione da cogliere è troppo ghiotta per non essere colta, per un vero e proprio salto di qualità verso il futuro.
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