Per un governo pubblico di governance
di Giuseppina Bonaviri
La 47settesima edizione del rapporto Censis, resa pubblica qualche giorno fa, ci descrive un paese che fa fatica a riprendersi, una società senza respiro, “sciapa, infelice dove circola troppa invidia, furbizia generalizzata, disabitudine al lavoro, immoralismo diffuso, crescente evasione fiscale” e dove i consumi, tornati ai livelli di dieci anni fa, non ci consentono di stare al passo con tasse e bollette. Emerge con chiarezza che anche i bisogni primari sono stati impacchettati, basti pensare che i ticket sui farmaci sono aumentati in questi ultimi quattro anni del 114 per cento.
Non c’è da sorprendersi se in un tempo di “lean” meglio conosciuto come vacche magre prosperino disaffezione alla cosa pubblica ( il 39% delle famiglie italiane non si interessa più di politica) e rivolte sociali fomentate dal crescente impoverimento delle popolazioni. E qui non c’entra l’ideologia, la questione si fa profonda, colpisce le parti più intime dei sentimenti umani: ingiustizia, frustrazione, disperazione, dolore che alimentano indignazione e violenza. Il malessere è generalizzato.
La congiuntura economica spietata, le tendenze demografiche, la marginalità delle innovazioni, il ristagno inevitabile che ne consegue non consentono assetti tali da consentire, a chi invece sarebbe deputato a farlo, di ascoltare l’urlo che arriva dal basso o il richiamo alle urne che non dovrebbe essere stigmatizzato come un vulnus in una fisiologia di democraticità. Non si può continuare ad aspettare una ripresa creata altrove, c’è bisogno che lo Stato italiano contratti direttamente in Europa quegli asset capaci di diventare incubatori di sviluppo economico e civile e non solamente di “ordinario galleggiamento”.
La crisi fa aggregare le energie che, buone, affiorano fuori dagli interessi predatori e parassitari -come attualmente appare la grande finanza- . Necessita chiedersi quale è la missione dell’Italia, dell’Europa. Diventare competitivi sul livello dell’internazionalizzazione, rilanciare la cultura collettiva come comparto, creare grandi eventi come nuovi quartieri di servizio al cittadino, orientare all’innovazione a all’informatica l’economia legata ai servizi del terziario, ripartire dalle donne, dai giovani e dagli immigrati, centralizzare le reti di relazioni per la ripresa di un sistema di welfare dove prevenzione complementare e sanità integrativa diventino consapevole bagaglio sociale, individuare nel settore dell’agricoltura un driver della crescita futura per noi, ora, diventa leva fondante.
Per valutare l’impatto territoriale del contenimento della spesa pubblica e per rilanciare l’economia d’impresa sarà necessario una fase di monitoraggio anche in provincia di Frosinone. Serve una analisi puntuale e regolare del funzionamento di enti e di sistema ma guardando introspettivamente all’entroterra, alla sua morfologia, ai processi socio-economici che lo intersecano per provare a scongiurare quelle riforme del sistema delle autonomie che, al momento, appaiono troppo estemporanee e poco organiche.
Oggi si fa tanto parlare di funzioni di presidio di area vasta senza un approfondimento di competenze e responsabilità mentre sarebbe doveroso partire proprio dall’informazione e dal confronto. Si fa tanto parlare di aree urbane ma non si accenna alla governance che alla base farà funzionare i partenariati. Si fa tanto parlare di aree marginali del paese ma non si racconta della loro centralità nella valorizzazione del patrimonio diffuso della nostra terra. Non ci pare che si intraveda, ancora, chi potrà essere capace di imporre un nuovo modello di crescita che poggi su equità, coesione, eguaglianza ma vogliamo continuare a sperare.
Ed è proprio su questa ultima traiettoria che nasce l’idea della creazione di un Tavolo di progettazione provinciale a Frosinone per la realizzazione di un “Patto di solidarietà sociale” tra i diversi attori istituzionali, cittadinanza libera e volontariato, associazioni, privato sociale. Tutti sappiamo che lavorare bene insieme, produce forti sinergie a difesa dei più deboli e degli emarginati, della discriminazione. La direzione giusta è quella della collegialità e del decentramento con il concorso della amministrazioni comunali e delle associazione del Terzo settore co-partecipi già dalla fase programmatica.
Si potrà dare, così, finalmente vita a quel modello unitario di nuovo welfare con la formalizzazione di una Rete integrata e sinergica su tutta la provincia frusinate, una provincia che deve rimanere in vita per il bene comune.
Lascia un commento