Un bit più di Google
L’altro giorno , come con forse eccessiva petulanza vi ricordavo, ho presentato il mio libro Avevamo la Luna – vi ho mai fatto accenno che è uscito?- alla fondazione Di Vittorio con interlocutori davvero particolari, come il vice ministro allo sviluppo economico Stefano Fassina, il presidente di Tiscali, ex presidente della Regione Sardegna Renato Soru, il presidente della stessa Fondazione Ghezzi, con il direttore Prof Pepe, e l’on. Walter Tocci.
Un parterre de Roix tutto politico per una discussione tutta politica. Finalmente. In questi mesi, trovandomi dinanzi a platee generaliste, ho dovuto camuffare il mio libro da un testo sul costume degli anni ’60. In realtà, almeno tale era l’intenzione, volevo scrivere un libro sulla sinistra di oggi.
E sono andato nella tana del lupo a discuterlo. La Fondazione Di vittorio è un organismo collaterale della CGIL. E il tema del lavoro, punto nevralgico del mio ragionamento, è un valore sacro. Così come per Fassina, che ha scritto un saggio intitolato Per il Lavoro.
Ho affrontato il toro per le corna: oggi il baricentro economico sta inesorabilmente uscendo dal campo del lavoro e saldamente radicandosi nel campo del sapere, anzi della circolarità del sapere. Chi controlla la mobilità dei pensieri controlla le relazioni sociali e dunque la politica. Questo in sintesi il mio ragionamento.
Devo dire che sia Fassina che Tocci hanno mostrato un atteggiamento estremamente aperto e comprensivo. Fassina ha ammesso che sul tema innovazione e politica le denunce del mio libro sui ritardi della sinistra sono fondate e che in quel triennio, 62/64 , si perse una grande occasione. Tocci è andato più in là, parlando di un sano estremismo del libro che deve fare piazza pulita dei retaggi ideologici che ancora rimangono nel cuore della sinistra italiana.
meno sorridente il direttore della Fondazione Di Vittorio, che ha iscritto il mio libro in un filone che ha definito degli storiografi di Lotta Continua, affermando che la causa del declino della sinistra è che l’avversario non ci concede di condividere il suo potere in fabbrica.
Ma per tutti, sia i sorridenti che i digrignanti, il tema rimaneva la centralità del lavoro.
Voglio qui in tre righe spiegare finalmente cosa intendo io per centralità del sapere.
per farlo mi appello, secondo le vecchie procedure terzo internazionaliste, ad una citazione dei sacri testi:
capitolo 13 del 1° libro de Il capitale di tale Karlo Marx: Il Darwin, scrive il ragazzo, ha diretto l’interesse storia della tecnologia naturale, cio è sulla formazione degli organi vegetali ed animali come strumenti di produzione della vita delle piante e degli animali. Non merita eguale attenzione la storia della formazione degli organi produttivi dell’uomo sociale, base materiale di ogni formazione sociale particolare?
E lo stesso autore, che di lavoro una qualche conoscenza aveva, così concludeva: occorre scrivere una storia critica della tecnologia.
Intendo dire che fino dalla metà del XIX° secolo, si coglieva il processo per cui il macchinismo stava trasferendo funzioni essenziali dall’attività umana alla fase di concepimento delle macchine. Era proprio quello il momento in cui il capitale sanciva il suo predominio: era il capitale a progettare le macchine e tramite quelle ha determinare le relazioni sociali.
oggi che il software sta automatizzando la maggioranza delle nostre attività cerebrali e neuronali, interferendo con il nostro modo di pensare a maggior ragione dovremmo organizzare tempi e modi per interferire con lo sviluppo delle intelligenze artificiali che stanno contribuendo a formare il 70% del valore prodotto dall’umanità.
In sostanza , la carica conflittuale del movimento operaio va riprogrammata per esprimersi nei luoghi e nei termini di una negoziazione dell’algoritmo.
Tanto più che, come spiegano gli scienziati, l’informatica non serve a produrre le app su facebook o su Apple ma ha riprogrammare la vita, attraverso le biotecnologie. Attività che non possiamo non presidiare politicamente.
Questo è il senso del mio ragionamento e il vero messaggio che Olivetti trasmetteva con il suo discorso esattamente di 54 anni fa, del 8 novembre del 1959, quando parlava dell’informatica come tecnologia di libertà che avrebbe emancipato l’uomo dal peso del lavoro manuale.
Dunque il cuore oggi del potere è il controllo dell’algoritmo. per questo rilancio una proposta concretissima: perchè il governo , o almeno la sinistra al suo interno, non chiede una norma che premi con una defiscalizzazione tutte le aziende o le partite Iva che investono sul proprio software, ossia che non acquistano prodotti intelligenti già fatti ma che attivano ricerche e adeguamenti di software autonomo? Perchè non indirizzare la poyt6enza del sistema informatico italiano che porta questo paese ad essere il primo produttore di app del mondo, a produrre software originali per il sistema produttivo nazionale? Non è questo un modo per non toglierci il cappello nemmeno dinanzi a Google?
Proprio come Di vittorio ci ha insegnato , quando diceva che non dovevamo piegarci dinanzi al padrone e che dovevamo sapere una parola più di lui. perchè dobbiamo toglierci il camice bianco dinanzi al padrone che progetta e dobbiamo rassegnarci a sapere un bit meno di Google?
Lascia un commento