Sulla trasformazione delle province evitiamo amenità
Il 5 novembre, si è tenuta a Roma presso il Teatro Quirino l’assemblea nazionale delle Province italiane. Si è messa in evidenza l’urgenza di rileggere i territori per dare dignità e governo all’area vasta e per sconfiggere la consistente nuova centralizzazione dei poteri, da un lato verso lo Stato dall’altro verso Regioni e Città metropolitane. Emerge chiaramente che con l’abolizione delle Province si distruggeranno la rete diffusa e capillare dei piccoli comuni, che tesoro nella tenuta territoriale, si troveranno d’improvviso accorpati dalla riforma Delrio oltre una serie di servizi destinati al cittadino e previsti dalla nostra Costituzione,. Questa riforma porterà anche la riduzione delle componenti del salario accessorio e le mobilità forzose dei lavorati del settore con meccanismi di cassa integrazione preludio di ulteriori tagli.
La proposta del Ministro di trasformare le province in agenzie è fantasiosa, forse dettata dalla necessità di contrastare sul piano mediatico le molte incongruenze che contiene la proposta del Governo alla soppressione delle province. Al rebus di chi espleterà le funzioni fin qui esercitate dalle province il Ministro risponde che saranno assegnate ai comuni dimenticando completamente quale lo stato comatoso, sia sul piano finanziario che operativo, in cui versano la maggioranza dei comuni ed in particolare quelli del sud Italia di cui la provincia di Frosinone è propaggine.
La nota dominante delle dichiarazioni ministeriali appare quella della semplificazione di questioni complesse che riducono i livelli di democrazia esistenti nel nostro ordinamento e che, per impotenza verso le molte altre inefficienze (vedi enti e società strumentali pubbliche, dal livello locale a quello statale), appesantiscono con costi impropri la finanza pubblica ed i cittadini tutti.
Peraltro la Regione Lazio ha la peculiarità di avere nel suo territorio la Capitale che rivendica funzioni ulteriori rispetto a quelle che le verranno assegnate dall’istituzione delle città metropolitane: una ragione di più per dover disporre nel territorio di una rappresentanza funzionale che sia di riequilibrio rispetto al peso che avranno le politiche di area vasta. Senza questo bilanciamento assisteremo ad una regionalizzazione dell’area vasta non sufficientemente rappresentativa delle periferie piuttosto che ad un trasferimento ai comuni delle funzioni che fino ad oggi sono stati di competenza provinciale. Una deriva che viene anche dalla constatazione di quanta ritrosia la Regione abbia da sempre dimostrato nel ridurre il suo peso rispetto la gestione della moltitudine di attività accentrate invece di pensare a dedicare più spazi alla programmazione favorendo territori e interi settori di attività produttive.
E’ questa la ragione per la quale la classe politica locale, anziché attanagliarsi intorno al proprio potere riproponendo persino il miracolo della moltiplicazione dei pani, dovrebbe invece occuparsi seriamente delle tante criticità del cittadino magari chiedendo da subito alla Regione la preparazione di una Conferenza delle Autonomie locali regionale che imponga, sul delicato tema del riordino e del destino delle province, soluzioni urgenti, trasparenti ed efficienti. Senza tale provvedimento assisteremo ad una diminuzione dell’efficacia d’intervento su tutte le materie ad oggi ancora di competenza provinciale: viabilità, edilizia per l’istruzione secondaria, lavoro e formazione professionale, trasporti pubblici locali, gestione del ciclo dei rifiuti, protezione della natura e dell’ambiente non dimenticando quelle di coordinamento per la pianificazione delle scelte di localizzazione. “Un diluvio di finte innovazioni annegate dentro provvedimenti finanziari destinate ad avere vita breve senza una tenuta ordinamentale. Più una dichiarazione manifesto che norma di revisione costituzionale”.
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