Alitalia apra l’Italia al futuro. Con Aeroflot, Air China o Emirates. Adesso
di Massimo Preziuso su L’Unità
Nei prossimi giorni la vicenda Alitalia dovrebbe vivere il suo momentum finale.
Dalle notizie pubbliche si apprende che sono in corso trattative con la compagnia russa Aeroflot, mentre Air France gioca una partita tutt’altro che amichevole per comprare la compagnia italiana a valori da bancarotta.
In tutto questo, una cosa a me risulta evidente sempre di più (e lo risultava già nel 2008).
Nonostante anni di errori strategici e di gestione manageriale, oggi Alitalia rappresenta ancora, suo malgrado, il maggiore sexy asset per il posizionamento italiano nello scacchiere economico e geopolitico internazionale.
Ebbene non bisogna essere esperti di settore per capire che le sinergie operative maggiori Alitalia oggi le avrebbe con una realtà come Aeroflot, o in alternativa con Air China o Emirates.
La sinergia in questo caso è prima di tutto da un punto di vista di copertura delle rotte mondiali aeree.
In un matrimonio russo (o cinese o arabo) Alitalia infatti si troverebbe a gestire l’area europea, e a sviluppare quella africana e americana, mentre il partner si dedicherebbe all’Asia e all’Oceania.
In quel modo si arriverebbe a costruire un operatore mondiale del trasporto aereo, naturale e principale ambasciatore di sviluppo economico e di relazioni internazionali.
Un soggetto attorno a cui costruire programmi di attrattività Paese come Destinazione Italia, e nel contempo esportare il Made in Italy nel mondo intero.
Un attrattore naturale di investimenti verso un Paese che tornerebbe al centro della geografia delle relazioni economiche mondiali dei prossimi anni.
Esportando contemporaneamente talento italiano – persone, prodotti e servizi – nel mondo.
In un matrimonio con Air France invece si riuscirebbe al più a rafforzare la operatività sul continente europeo e mediterraneo, tralasciando naturalmente ed erroneamente l’importanza cruciale del continente asiatico e di quello americano (in particolare Sud America e Canada) per i prossimi decenni.
Il momento è adesso, per rilanciare il Paese nello scenario competitivo globale.
E proprio di questo parleremo nel nostro convegno del 30 novembre prossimo dal titolo “Progetti per un’altra Italia“. Vi aspettiamo.
Mi permetto di intervenire data la mia modesta esperienza nel settore.
La questione Alitalia è solo apparentemente legata al piano di alleanze da sviluppare.
Il dato fondamentale è che, pur trattandosi di una azienda che sviluppa 24 milioni di passeggeri l’anno,
non esistono garanzie credibili riguardo agli investimenti necessari e potenzialmente fruttuosi che vanno realizzati.
Così chiunque voglia interessarsi alla questione non è certo disposto a buttare quattro-cinque miliardi di euro.
L’investimento potenzialmente utile e strategicamente possibile per acquisire un mercato da oltre venti milioni di pax (e potenzialmente molti di più), deve rispondere in ogni caso a criteri di remunerazione.
Oggi gran parte del fabbisogno finanziario è causato da un buco nero di perdite causate da gestione a dir poco inadeguata (lo ammette anche Colaninno), nessuno è disposto ad aggiungere questo esborso a quello industrialmente accettabile, le dichiarazioni recenti di Enrico Letta chiariscono il problema.
L’unica possibilità sarebbe disegnare un piano industriale talmente valido da far riassorbire anche questa quantità all’interno di un piano di profitti di una decina di anni. Naturalmente un piano non potrebbe dimenticare a quale alleato sarebbe utile, per cui se ci si allea con una compagnia orientale sarà difficile prevedere espansioni di rete in quell’area.
Lo Stato in verità potrebbe perfino varare un piano industriale adeguato, il problema è che nessuno ha nemmeno la più pallida idea di cosa fare, speriamo solo che qualche idea la abbiano le Poste. Fino ad ora hanno detto solo scemenze, parlano di sinergie per un settore che può valere un centinaio di milioni su di un fatturato da 4 miliardi.
NON c’è alcun momentum finale, solo un fallimento al rallentatore come la scorsa volta, se non si interverrà in fretta, assisteremo al solito ed ennesimo disastro italico e metteremo una perla in più alla lunga collana della deindustrializzazione.
La questione del piano industriale è estremamente complessa e prevederebbe una conoscenza approfondita dell’Alitalia e del mercato del trasporto aereo, in molti ultimamente hanno avanzato suggerimenti, qualcuno anche non completamente strampalato come Ugo Arrigo professore di Finanza Pubblica presso l’Università la Bicocca di Milano. Chi li ascolterà? Ormai parlare di Alitalia è come per la nazionale di calcio, sono tutti commissari tecnici. Non ho molte speranze.
Un caro saluto
Franco Di Antonio