Discriminazioni di genere
Superata l’idea di gestione sanitaria l’emergenza si fa culturale.
Di Giuseppina Bonaviri
Ripartire dal processo preventivo, capitolo fino ad oggi troppo sottovalutato rispetto alla questione discriminatoria di genere, dando slancio adeguato al percorso formativo di educazione sentimentale della famiglia e nelle scuole, diventa fondamentale per un intervento primigenio contro la lotta alla discriminazione. Per sostenere questo nuovo modello culturale e sociale di donna si deve oltrepassare il concetto di medicalizzazione, di intervento e di trattamento sanitario delle donne vittime. Occorre aprire una nuova frontiera che vede nella formazione della coscienza sociale (e, dunque, non solo a colpi di legge o di linee guida per gli operatori del sistema socio-sanitario e per i gestori dell’ordine pubblico) una dimensione innovativa che va assai oltre i paradigmi attuali.
Studi internazionali di settore ci insegnano che l’atto di offesa nei riguardi di una donna, dal più banale al più lesivo, risponde a un livello qualitativamente diverso che lo scontro tra due persone, attenendo a profonde motivazioni culturali e a vecchi schemi di rapporto tra i sessi all’interno di quei modelli che la nostra società non può più permettersi di riconoscere come idonei. La violenza sulle donne non deve intendersi solo come il frutto di un’aggressione individuale. Esiste una dimensione sociale della violenza che per superficialità non si è ritenuto di considerare neanche all’interno della legge, da poco varata, sul femminicidio.
La violenza non è altro che l’aspetto più drammatico di una violazione dei diritti umani e di una riduzione delle opportunità di vita delle donne. La violenza nega i più fondamentali diritti: la vita, la libertà, l’integrità corporea, in una parola la dignità della persona offesa. Come ci dimostrano molti dati scientifici le azioni punitive contro la violenza non contrastano e non prevengono il reiterarsi di atti di violenza o di discriminazione così come la presa in carico sanitaria della donna maltratta, che è stata certamente un passaggio importante in un passato recente, continua a rimanere un intervento a garanzia parziale. Puntare esclusivamente sulla pena significa, inoltre, non precedere la violenza dando origine ad una distorsione culturale che farà lievitare l’idea che uomini e donne siano nemici o, per meglio precisare, dove la donna continuerà ad essere vissuta come l’ anello debole della catena tanto che per sentirsi sicura dovrà necessariamente essere allontanata dal maschio violento, violento in quanto forte.
Bisogna, allora, partire da molto prima. Non basta agire sugli “esiti” ritenendo di avere attivato il cambiamento ma andare a monte della distruzione e della negazione dell’altro. Una prima azione riguarderà non “la cura, l’assistenza e la riabilitazione” delle donne e dei maltrattanti ma il tipo di educazione e di riferimento storico con indirizzi di programma per scuole e famiglie, sensibilizzando insieme educatori, genitori, insegnanti.
Che dire, ad esempio, se il Codice Polite, di antisessismo entrasse in tutti i libri di testo scolastici? O se, come promosso dal dibattito parlamentare recentemente avvenuto sulla convenzione di Istanbul per una politica innovativa ed efficace si patrocinassero azioni economiche reali per favorire il lavoro retribuito alle donne maltrattate tale che esse possano ricostruire una loro vera indipendenza e recuperare diritti negati e dignità lesa? Se a tutto ciò, poi, si aggiungesse un atto di indirizzo nazionale strutturale sugli attori territoriali occupati in questo ambito (obiettivo sperimentato con efficacia in altri paesi come ad esempio nel Regno Unito) per la unificazione di una rete territoriale efficace ed efficiente, che diventi il contrasto sociale al fenomeno, si riempirebbe un vuoto istituzionale. Le tutele da sole, non essendo risolutive, se non precedute da seri processi educativi rischiano di attivare meccanismi generalizzati di paura, diffidenza o allarme sociale non trasformandosi in modelli di riconoscimento per una sana identità di genere.
Questo è l’obiettivo che La Rete la Fenice e Colletivocinque, con i tanti partner aderenti, hanno condiviso nell’organizzare la manifestazione provinciale itinerante “L’arte contro il femminicido” che, partita il 22 settembre da Frosinone, sta arrivando in molti comuni ciociari e oltre.
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