Torniamo a riscoprire la voglia sociale di futuro
di Paolino Madotto
Stiamo assistendo al più grande furto di futuro degli ultimi decenni. La discussione di fronte alla quale ci troviamo naviga nel presente e nel passato. Tutto il Paese è immerso nel passato e il futuro non riesce ad andare oltre il 2014.
Il governo prospetta al popolo magnifici scenari di crescita dello zero virgola qualcosa, l’imprenditoria sogna meno tasse sulla prossima legge di stabilità, la destra politica è abbarbicata al passato glorioso di forza Italia, i giornali sono pieni di narrazioni su qualche soldo da mettere in una partita di bilancio o di tunnel in cui in fondo si vede qualcosa. Anche le imprese sono occupate ad aumentare i profitti del prossimo trimestre e la borsa a portare a casa dividendi a breve.
Il futuro, quello che ci aiuta ad immaginarci tra venti o trenta anni, non c’è più. Una società sempre più individualizzata non ha più un futuro collettivo, una socializzazione dell’avvenire, degli obiettivi collettivi.
I programmi politici si limitano alla legislatura che verrà ( quando ci sono) pieni di piccole misure compensative del patimento del passato senza una visione per il futuro. Si ruota intorno ad un futuro che allevia il dolore del presente ma non riesce ad appassionare.
Il futuro è delegato all’individuo che già è assillato dal presente. Ognuno lo costruisce come vuole con i mezzi che ha, con la sua solitudine e con il suo smarrimento.
Eppure una società senza futuro cosa è?
Eppure non ci può essere idea di impresa senza una chiara visione del futuro, ogni investimento presuppone una spesa oggi nella speranza che in futuro sia ben remunerata. Come non ci può essere sistema formativo, perché uno studente di diciassette anni cosa sceglie se la società non gli prospetta una proposta di futuro che sta costruendo? E dunque mettere la scuola sempre più vicino all’impresa senza dare a tutti e due gli elementi per dirigersi è altrettanto poco utile malgrado la buona volontà.
E così abbiamo laureati in comunicazione che non trovano lavoro ma ai quali, quando si sono iscritti, si è prospettato un futuro luminoso. Abbiamo ingegneri edili in un territorio dove non si potrà costruire più come prima. Se costruisci il futuro guardano solo il presente difficilmente ci prendi.
Anche la discussione congressuale nel PD soffre di questa malattia. Da una parte la nostalgia per gli anni ’90 del liberismo anglosassone, la società liquida, l’individualismo. Una strada che basterebbe conoscere meglio per comprenderne fino in fondo i nefasti risultati (tra cui la più grave crisi economica dal 1939). Dall’altra il rischio di rimanere legati a una tradizione che va trasformata e non semplicemente venerata.
Il partito è lo strumento per costruire il futuro, il luogo in cui delle persone si ritrovano su valori e obiettivi comuni e si mettono in moto per realizzarli. Senza un disegno di futuro non si è in grado di scegliere l’arnese più adatto ad arrivarci.
Se il futuro è il “sol dell’avvenir” chiaro e preciso, dogmatico quanto indiscutibile sarà utile un partito massificante e disciplinato; se il futuro è un insieme di valori come la partecipazione, la democrazia, il benessere sociale, un welfare sociale e delle opportunità e la società della conoscenza è necessario prefigurare un partito organizzato e strutturato in modo diverso; se il futuro è l’individuo lasciato a se stesso non serve un partito ma un comitato elettorale.
Se in Italia non ricostruiamo un futuro collettivo non arriviamo da nessuna parte. Il primo compito che deve avere un partito progressista è questa missione. Il progresso può essere disegnato solo collettivamente, un “collettivo” che non è la massa spersonalizzante della tradizione peggiore della sinistra e non è la solitudine dell’individualismo della destra e del neoliberismo anni ’90 (anche se pitturato di sinistra liberal).
Il collettivo che può assumersi l’onere di disegnare il futuro è quello incentrato sulla persona, un soggetto sociale che esprime se stesso nella comunità con gli altri, in grado di essere valorizzato per il suo contributo da singolo al bene comune della collettività. Un concetto profondamente olivettiano che dobbiamo recuperare e far nostro.
Adriano Olivetti dovrebbe essere considerato uno dei riferimenti importanti del Partito Democratico, per la sua capacità di disegnare e interpretare il futuro, di innovare, di mettere al centro la persona.
Mi piacerebbe che la discussione congressuale potesse incentrarsi sul futuro sociale di questo paese. La Cina fa piani a venti anni, piani che si cambiano di anno in anno a seconda di quello che accade ma che danno ad ogni cinese la visione del suo paese a venti anni e ognuno può far qualcosa per costruirlo. Forse anche noi dovremmo cominciare a ragionare a venti anni.
Dovremmo costruire il futuro collettivo con l’idea che i piani sono fatti per essere cambiati se necessario,come una mappa è fatta per dare la direzione ma sta all’esploratore evitare gli ostacoli o comprendere il tracciato migliore sulla base del territorio in cui è immerso con i suoi piedi.
E allora sorge l’ultimo interrogativo: ma la mancanza di discussione sul futuro non sarà dovuta alla mancanza di “nostromi” in grado di farla? Non sarà che questi venti anni di lotta contro il pericolo illiberale sono stati anche gli anni nei quali è stata eliminata la possibilità di discutere sopraffatta dall’esigenza di combattere e ubbidire? se così fosse c’è fretta di immettere persone in grado di andare oltre perché gli “anziani” capaci ormai sono in zona ritiro e i “giovani combattenti” non sono funzionali alla sfida che lo schieramento progressista ha di fronte.
Dopo ogni guerra c’è sempre il problema dei “combattenti” che devono lasciare il posto a persone in grado di ricostruire, alla politica. La guerra tra antiberlusconismo e berlusconismo da noi ancora non ha lascia il posto alla ricostruzione, gli strascichi li vediamo in parlamento.
Abbiamo bisogno urgente di una classe dirigente che sia in grado di pensare e creare il futuro della nostra società, di intellettuali, politici, manager, quadri che si sappiano assumere questo onere. Abbiamo bisogno di luoghi di studio e riflessione per creare una visione di futuro collettivo, mi auspico che uno di questi luoghi possa essere il percorso congressuale del Partito Democratico.
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