La lezione egiziana: democrazia o egemonia?
di Michele Mezza
La rimozione del presidente egiziano Morsi pone il tema del rapporto fra democrazia e rete da un’angolazione più concreta e pertinente.
Rispetto alle fumisterie con cui gli opinionisti politici sembrano volersi baloccare per confutare l’opzione di democrazia diretta che il popolo della rete propugnerebbe al Cairo è in scena il vero conflitto moderno: consenso vs egemonia.
In sostanza, la rimozione dell’uomo dei Fratelli Mussulmani che dopo aver raccolto un consistente consenso elettorale ha cominciato ha ridurre spazi di libertà e soprattutto a non garantire modalità di sviluppo ed emancipazione economica, rende esplicita la polarizzazione fra le ragioni della modernità e quelle della rappresentanza popolare.
Da una parte , al Cairo come a Istanbul, e su altri versanti anche a Rio De Janeiro, o a Damasco, o alla stesso Pechino e Mosca,i soggetti più avanzati, autonomi e competitivi della società, che coincidono con il ceto imprenditoriale e intellettuale urbano più giovane, si mostrano sempre più irrequieti rispetto agli equilibri di governo sostenuti da maggioranze periferiche e assistite.
Ma pur sempre maggioranze. Il cui collante in alcune aree è il fondamentalismo religioso, in altre la nostalgia ideologica, in altre ancora il nazionalismo o il populismo rancoroso.
Sono queste le identità forti che coagulano consensi di massa. Mentre in minoranza, per quanto rumorosa e rilevante, sono quei ceti che a prima vista a noi ci piacciono di più: giovani, alfabetizzati, emancipati, competitivi, laici, innovativi.
Finalmente siamo usciti dalla banalità delle definizioni per cui era internet che faceva le rivoluzioni.
Internet raccoglie e forma i nuovi profili professionali, dando linguaggi e strumenti operativi, ma la motivazione e identità è data dal bisogno di muoversi e di relazionarsi in rete, per cultura, interesse, o semplicemente per volontà.
Siamo dinanzi ad un disaccoppiamento fra progresso e consenso, o meglio ad una separazione fra ceti urbani che competono e si relazionano globalmente, anche se da lontano – dal centro storico di Londra e New York si è più vicini a piazza Taksim a Istanbul o piazza Tahrir al Cairo di quanto non lo siano le rispettive periferie rurali – in contrapposizione alle aree sociali meno sicure e rampanti, ancora bisognose di protezione dallo stato, e dunque alla ricerca di rappresentanze politiche paternalistiche.
E’ il dilemma che ha conosciuto Obama fra la prima e la seconda elezione, quando ha cambiato maggioranza passando dal consenso della rete a quello del medicare. O, in Francia, dove coincide con la differenza fra una destra populista e statalista e una sinistra bohemien. O in Germania, dove si confrontano una DC statalista, efficiente e assistenziale e una SPD che non è ne assistenziale e popolare,, ne competitiva e rappresentativa dei i nuovi talenti giovanili. O, e veniamo alle dolenti note, in Italia dove il voto dei centri storici piega sempre più a sinistra e quello delle periferie, quando si esprime , sempre più a destra o a surrogati della destra, di cui Berlusconi rimane l’interprete principe.
Siamo dinanzi all’istituzionalizzazione di quella che i sociologi chiamavano la sindrome israeliana, dove da 20 anni la destra poggia su una base popolare, nazionalista, paurosa e minacciosa, e la sinistra su un ceto borghese avanzato , illuminato e globalista. La prima è larga maggioranza numerica, la seconda a volte è egemone culturalmente.
Non a caso in questi giorni dinanzi ai morti egiziani la sinistra tace , per la prima volta, in tutte le sue varianti: PD, renziani, radicali, pacifisti, arabisti, terzomondisti: tutti uniti nel silenzio.
da qui bisogna ripartire, altro che le bubbole sulle regole del congresso: democrazia o egemonia? conquista di consenso vasto e pluralista, con una proposta popolare o arroccarsi in una estetica della competizione, concentrandoci sui ceti trainanti? sono due prospettive eticamente equipollenti. In nessuno dei due casi si prevede di rimanere legati a ceti corporativi, urbani, protetti e minoritari, come sono oggi i lavoratori del ciclo tradizionale.
Quella figura non compare su nessun palcoscenico citato. Proprio perché, come spiega Manuel Castells, i movimenti moderni, che innestano conflitti reali e duraturi, sono basati ed alimentati dalla domanda di autonomia degli individui rispetto alla distribuzione di sapere. La potenza di questa autonomia produce innovazione , mentre il prevalere delle identità produce stabilità. Scegliamo. Adesso e lavoriamoci su.
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