La leadership dell’Unione Europea nelle politiche climatiche
Le analisi del World Energy Outlook sono sempre di notevole interesse.
L’ultima dal titolo “RedrawingEnergyClimateMap” racconta, tra le pagine, qualcosa di molto importante per l’Europa, che va messo in evidenza.
Il documento in realtà si concentra su alcuni punti chiave:
1) L’inefficacia delle politiche ambientali globali a tenere la direzione obiettivo dell’innalzamento di “soli” 2°C coincidente con le 450 ppm di CO2.
Ad oggi, la temperatura media del pianeta ha già superato lo +0.75% e, nello scenario as is, la tendenza è verso un innalzamento medio, rispetto al periodo pre-industriale, tra i 3.6 – 5.3°C.
Per evitare tutto questo, ed avere una chance sostanziale di raggiungere l’obiettivo dei 2°C, è richiesta un’intensa azione politica entro il 2020 – anno in cui il nuovo trattato internazionale dovrebbe essere in campo.
In tutto questo il settore energetico è baricentrico, in quanto “produce” i 2/3 delle emissioni nocive totali.
2) Il contestuale aumento delle emissioni di CO2 legate al settore energetico (+1.4% nel 2012 a 31.6 Gt.)
All’aumentare delle emissioni globali si associa una spinta redistribuzione dei pesi emissivi tra paesi non OECD (che passano dal 45% al 60% del totale dal 2000 ad oggi) e OECD (dal 60% al 40% del totale).
Andando nel dettaglio troviamo:
a) La Cina che aumenta del 3.8% (300 Mt) le proprie emissioni, ma con un tasso di crescita dimezzato rispetto al 2011, ed oggi emette il 25% della CO2 globale. In più l’intensità energetica dell’economia cinese cresce (3.8% nel 2012) in linea con la programmazione quinquennale (12th Plan), indicando enormi progressi nella diversificazione “green” dell’economia e nell’efficienza energetica.
b) Gli USA che diminuiscono – fondamentalmente grazie ad uno switch spinto da carbone a gas (sulla spinta del nuovo mercato interno del “non convenzionale”) nella produzione elettrica – le emissioni del 3.8% arrivando ad una quota globale del 16%
c) L’Unione Europea che continua lentamente a diminuire il proprio stock di emissioni (-1.4% con una quota di circa il 12% sul totale) a causa di una severa crisi economica che abbassa i consumi di energia elettrica (-0.3%), nonostante l’aumento di consumo di carbone (importato dagli USA principalmente) nella produzione elettrica, derivante dal crollo del prezzo dei certificati di emissione (per effetto di over supply di EU ETS, di cui abbiamo scritto qualche settimana fa).
L’inefficacia del carbon market europeo è evidente nel calo di solo 0.6% delle emissioni nei settori regolati contro un più importante calo del 5-8% nei settori industriali “liberi” come quello del cemento, del vetro e dell’acciaio.
3) La proposta di 4 misure di policy – le “4-for-2°C Scenario” – per un rapido abbassamento delle emissioni
Tali azioni, che si basano su tecnologie esistenti, sono già state testate in alcuni paesi e non alterano la crescita economica, hanno un potenziale di riduzione di emissioni di circa 3 Gt al 2020:
a) Adottare specifiche misure di efficienza energetica (circa il 49% del totale di riduzione)
b) Stop alla costruzione di impianti a carbone ed utilizzo limitato di quelli esistenti meno efficienti (21% di riduzioni)
c) Minimizzare le emissioni di metano derivanti dall’oil upstream e dalla produzione di gas (18% di riduzioni)
d) Accelerare la riduzione dei sussidi alla produzione di fonti fossili per ridurre emissioni e accelerare politiche di efficienza energetica
4) La necessità di politiche di adattamento agli effetti del cambiamento climatico che comunque ci saranno.
In particolare:
Il settore pubblico disegni nuovi quadri regolatori che incoraggiano un prudente adattamento del privato, che invece dovrebbe da subito inserire i rischi e gli impatti associati nelle sue decisioni di investimento
5) L’opportunità di anticipare le politiche climatiche per farne una sorgente di vantaggio competitivo
Ed è proprio su questo che vale la pena concentrarsi e soffermarsi.
In particolare su un grafico presente nello studio, che merita l’attenzione di tutti, cittadini e istituzioni:
Esso sintetizza in un solo luogo gli avanzamenti delle politiche climatiche nei principali paesi del mondo, riferendosi al settore energetico (che è perfetta proxy per un confronto tra sistemi economici e politici), mettendo a confronto i principali attori economici mondiali sulle tre dimensioni di:
– emissioni di CO2 per capita (tonnes per capita)
– intensità emissiva di CO2 delle economie (tonnes per thousand dollars of GDP)
– emissioni totali nei singoli paesi
Ebbene, da una rapida analisi del grafico risalta all’occhio la centralità dell’Unione Europea nelle politiche ambientali dal 1990 al 2012.
Tutte le altre economie infatti hanno “guardato” alla UE come punto di riferimento nelle traiettorie di sviluppo delle proprie economie.
Questo lo si vede dalla direzione (delle frecce) delle politiche ambientali dei singoli paesi indicati nello studio.
E allora mai come in questa immagine risulta chiara la direzione unica possibile delle politiche industriali, economiche e culturali del vecchio continente: quella che continua un tracciato pluridecennale di leadership nella sostenibilità ambientale (e non solo) dello sviluppo.
Ebbene, si parta da questa constatazione per (continuare a) disegnare il futuro del continente, senza aspettare – come dice il documento analizzato – il 2020, quando sarà tardi per tutto.
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