Le elezioni regionali sparite
di Francesco Grillo su Il Messaggero
Completamente sparita. Se della campagna politica nazionale ci siamo persi – nel diluvio di comizi televisivi – domande essenziali per il futuro del Paese, di quella per le elezioni regionali non c’è letteralmente traccia. Eppure le Regioni pesano nella spesa pubblica complessiva quanto i Ministeri, i Comuni e le Province messe insieme, e le amministrazioni di Lombardia e Lazio rappresentano un terzo della spesa di tutte e ventuno le Regioni italiane. Eppure sono le Regioni ad essere responsabili della politica – la Sanità – che, in assoluto, maggiormente incide sulla vita – letteralmente – delle persone.
La sparizione del dibattito sulle scelte di grande importanza politica, sociale, finanziaria fa pensare che accorpare le scadenze elettorali in un solo giorno sia stato uno sbaglio: è vero che se non ci fosse stato l’accorpamento avremmo speso – solo in Lazio – dieci milioni di euro in più; ma questa cifra appare irrisoria rispetto alla montagna di denaro –centoventicinque miliardi di euro – che un’amministrazione regionale come quella del Lazio muove nella durata di una legislatura. La sensazione è che si sia deciso di sacrificare una ulteriore quota di una democrazia già estremamente malandata per i calcoli di bottega delle forze politiche.
La situazione della Regione Lazio, in particolare, esigerebbe un confronto ben più vigoroso di quello fornito da qualche cena elettorale sopravvissuta allo tsunami mediatico dei quattro leader che si contendono frazioni di punto di consenso a livello nazionale. Aldilà dello sdegno per la conclusione dell’avventura delle due ultime giunte, esistono nella Regione della Capitale problemi urgenti e, soprattutto, una vulnerabilità che rischia di far esplodere problemi ancora più grandi nei prossimi anni.
Un rapido confronto con le altre amministrazioni regionali italiane – molte delle quali hanno problemi di credibilità simili – dice che il Lazio rappresenta uno dei casi dove sono più evidenti gli sprechi e le possibilità di riorganizzazione drastica: un sistema sanitario regionale che riesce, secondo ISTAT, ad essere contemporaneamente uno di quelli più cari d’Italia – solo in Trentino, Liguria e Valle d’Aosta si spende per abitante tanto quanto nel Lazio – ma anche quello che fa registrare tempi di attesa più elevati in assoluto; i rifiuti con una rete di smaltimento vicina all’implosione e con una percentuale di raccolta differenziata (16,5% nel 2010) inferiore, secondo l’Istituto Superiore per la Protezione dell’Ambiente, a quella di quasi tutte le Regioni del Sud, inclusa la Campania; nel settore dei trasporti, stanziamenti per abitante pari al doppio di quelli della Lombardia non sembrano in grado minimamente di intaccare livelli di domanda di trasporto privato, talmente elevati da rendere il numero di autovetture in circolazione nel Lazio di gran lunga superiore a quello di qualsiasi altra Regione.
Ancora maggiore è la vulnerabilità che il Lazio ed, in particolare, la Capitale presentano se si considera che la Regione è decisamente quella che rischia di più rispetto ad una revisione complessiva del ruolo dello Stato centrale che sarà inevitabile se lo Stato stesso vorrà conservare una qualche legittimità nei confronti dei cittadini e credibilità rispetto ai propri finanziatori: la relazione sulla regionalizzazione del bilancio statale della Ragioneria Generale dice che è concentrato nel Lazio – dove risiede il 9% della popolazione italiana – quasi un quarto di tutta la spesa per polizia e carabinieri, il 20% di quella relativa all’esercito, il 16% di quella per il funzionamento della macchina della giustizia e, persino, un terzo di quanto spendiamo complessivamente in Italia per la tutela del patrimonio artistico. Certo, sono numeri in parte giustificati dalla presenza della Capitale, tuttavia il buon senso dice che una razionalizzazione della spesa pubblica più strutturale di quella tentata nei mesi scorsi dal Dottor Bondi,non può che partire da una ridistribuzione delle risorse e delle persone dalle attività di ufficio a quelle di contato con il territorio e con i cittadini, dal centro alla periferia.
Ciò non potrà che avere nell’immediato impatti negativi per i livelli occupazionali e di reddito per una società che è stata protetta dal proprio ruolo per decenni: il prossimo Governatore deve subito contrapporre una strategia di sviluppo che dovrà avere come obiettivo quello di uno sviluppo meno dipendente dall’amministrazione pubblica e maggiormente fondato sulla innovazione.
Del resto che la Regione sia, da tempo, per dipendenza da spesa pubblica, quasi assente dai mercati internazionali è dimostrato dalla quantità di PIL regionale che è generato dalle esportazioni: una quota (del 10,1%) che è pari ad un terzo di quella fatta registrare dalle Regioni del Nord (30,8%) ed è inferiore, persino, alla percentuale per il Sud (11,6). E se è vero che il Lazio investe in ricerca quanto il Piemonte, è altrettanto vero che questi investimenti sono quasi completamente pubblici.
E allora a venti giorni dalle elezioni emergono domande che dovrebbero essere fondamentali per convincere gli elettori del Lazio e che invece appaiono al momento quasi completamente eluse: quali le ragioni di una crisi che dura da troppo tempo per poter essere attribuita ad una sola parte politica? come possiamo ridurre la montagna di debito accumulato dal sistema sanitario e far fronte, allo stesso tempo, alla domanda crescente di una popolazione sempre più anziana? Attraverso quali meccanismi verranno individuati gli ospedali migliori, come vogliamo sanzionare quelli peggiori, selezionarne i dirigenti? Quali strumenti possiamo adottare per incentivare un miglioramento dei livelli di efficienza delle strutture accreditate, considerando che esse assorbono quasi la metà della spesa? Quali obiettivi ci possiamo dare in termini di raccolta differenziata, che modello di smaltimento possiamo proporre e con quali strumenti? Come vogliamo ridurre i livelli di congestione delle strade e migliorare la qualità della vita di centinaia di migliaia di pendolari? Quale può essere, in un contesto istituzionale in trasformazione, il meccanismo di cooperazione tra chi governa la Regione e chi guida la città metropolitana? Come mai la Regione Lazio era riuscita – al Giugno dello scorso anno – a spendere meno del 30% delle risorse del Fondo Sociale Europeo destinate all’occupazione, meno di qualsiasi altra Regione del Centro Nord? Quali sono i vantaggi competitivi sui quali puntare e le scelte che il prossimo Governatore metterà nero su bianco nella strategia regionale per l’innovazione che l’amministrazionedovrà – entro pochissimi mesi – negoziare con la Commissione Europea per accedere ai fondi strutturali, che sono quota parte assai rilevante dei fondi disponibili per lo sviluppo economico della Regione?
Si è tanto discusso nelle settimane scorse di tagli dei costi della politica. Tuttavia, il costo – eccessivo – di funzionamento della giunta e del consiglio di un’amministrazione regionale come quella del Lazio non sono che la ciliegina di una torta fatta al contrario -visto che valgono lo 0,2% dei 28 miliardi che la Regione gestisce, e di cui sarebbe fondamentale parlare visto che la crisi impone di non sprecare più neppure un euro. Per il momento, a venti giorni dalle elezioni, Storace si è limitato a nominare la persona responsabile del programma, Zingaretti continua ad annunciare sul suo sito che sarà costruito sulla base delle idee raccolte attraverso la rete (anche se ha presentato nei giorni scorsi il suo piano per i giovani) e la Bongiorno ribadisce che è tutta questione di legalità. È urgente che i candidati forniscano una risposta a domande che riguardano il futuro di tutti, che i media spostino su di esse il confronto, che i cittadini si abituino a scegliere sulla base di impegni precisi e sulla capacità di rispettarli.
Del resto, episodi squallidi come quelli che hanno travolto le due amministrazioni regionali più importanti d’Italia non sono che la conseguenza della voragine di idee che si è aperta al posto dello spazio che una volta era occupato dalla Politica.
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