Un’agenda per il Sud
di Francesco Grillo (pubblicato su Il Mattino)
È verissimo che il Mezzogiorno è quasi scomparso dal confronto sugli “impegni per il governo del Paese”, come ha lamentato nel suo ultimo discorso di fine anno, il Presidente della Repubblica. È, tuttavia, altrettanto vero che, come dice lo stesso Napolitano, vale per un’Agenda per il Sud – ancora di più che per un programma di sviluppo dell’intero Paese – un presupposto di ordine non solo economico ma morale: la rinuncia a quel “assistenzialismo”, a quella dipendenza dal sussidio e dalla spesa pubblica che è la ragione ultima del sotto sviluppo civile, prima ancora che economico di una parte così grande del Paese.
Del resto, nella stessa agenda Monti manca una riflessione specifica sulle caratteristiche che fanno delle Regioni meridionali quelle che maggiormente stanno soffrendo la crisi ma anche quelle che, paradossalmente, proprio per questa ragione, potrebbero maggiormente contribuire a portare l’Italia fuori dalla recessione. E manca ancora all’”Agenda”, una strategia che dia una soluzione al puzzle – concretissimo, urgente – che chiunque voglia provare a governare l’Italia, si troverà a dover affrontare.
Come faccio nei prossimi sette anni a spendere ventidue miliardi di euro (dei trentacinque che la Commissione Europea alloca all’Italia) in progetti di innovazione tecnologica, risparmio energetico e ricerca in Campania, Sicilia, Puglia e Calabria? Se ogni anno queste quattro Regioni – le ultime quattro per tasso di occupazione tra le duecentocinquanta regioni dei ventisette Stati dell’Unione Europea – perdono, come avverte ISTAT – centomila persone quasi tutte giovani, laureate o laureande? Come posso spendere così tanti soldi – praticamente quasi tutti quelli che Bersani e Monti invocano per innescare un processo di crescita Keynesiano, se ho il vincolo di doverli usare in territori che risultano desertificati da un’erosione del talento e dell’entusiasmo che sono il presupposto di qualsiasi scommessa imprenditoriale? L’aritmetica suggerisce che la risposta al paradosso può essere solo di due tipi: o provo a spostare le risorse per investimenti strutturali che spetterebbero al Mezzogiorno al Nord, dove ci sono imprese e lavoratori qualificati; oppure sposto invece al Sud capitale umano che possa assorbire gli investimenti. La prima strada è apparsa, spesso, l’unica, estrema possibilità da perseguire attraverso complessi negoziati con la Commissione per non perdere i finanziamenti; la seconda richiede, appunto, un’innovazione fortissima nelle scelte di governo e di politica economica di cui nei programmi elettorali non c’è traccia.
Invertire l’esodo di giovani che fa del Sud una sorta di clessidra anagrafica – con molti vecchi, tanti bambini e sempre meno persone in età di lavoro – comporta infatti scelte drastiche. Indubbiamente, può essere interessante la proposta – già avanzata da deputati appartenenti a diversi gruppi – di utilizzare l’arma dell’incentivo fiscale: una riduzione del livello di imposizione nazionale o locale per chi – lavoratori o imprese – decida di trasferirsi al Sud. Tuttavia, ancora più importante è che le Regioni del Sud facciano nei prossimi mesi scelte in termini di un numero limitato di settori produttivi, territori, ambiti accademici nei quali sia possibile sviluppare propri vantaggi competitivi difendibili a livello internazionale: aree specifiche nelle quali offrire opportunità mirate di inserimento e di valorizzazione del proprio patrimonio di conoscenza per giovani da attrarre da altre Regioni, ma anche per imprese, università del Nord (e di altri Paesi) che possano trovare nel Sud la convenienza ad investire e radicare tecnologie in territori meno congestionati.
Tali scelte dovranno essere estremamente focalizzate per avere qualche possibilità di essere prese in considerazione da chi ha il mondo come suo punto di riferimento. Ma potranno andare oltre i settori industriali che spesso associamo all’idea stessa di investimento tecnologico. Il turismo, ma anche il presidio del territorio per aumentarne la sicurezza, la sanità e la mobilità nelle città sono tutti ambiti nelle quali il Mezzogiorno potrebbe sperimentare innovazioni più avanzate in grado di cogliere opportunità di maggiori dimensioni e di affrontare problemi particolarmente gravi.
Il ruolo del Governo dovrà essere quello di assicurare due condizioni. Innanzitutto, regole stringenti – a partire dalla competizione tra amministrazioni di diverso livello per la titolarità delle risorse, nonché da un forte favore per chi riesca a coinvolgere i privati nel finanziamento e nella selezione dei progetti – che diano un forte peso ai risultati, assumendosi, se possibile un ruolo da protagonista nella definizione dei nuovi regolamenti comunitari; in secondo luogo le condizioni di contesto – a cominciare da quelle relative alla legalità e al funzionamento dei mercati – che sono indispensabili per la sostenibilità di un qualsiasi investimento in innovazione.
In questo senso, il Sud potrebbe, anzi, funzionare da piattaforma per sperimentare le riforme da molti invocate, prima che esse siano estese al resto del Paese. Sul fronte della legalità, nel Mezzogiorno andrebbero, ad esempio, anticipate modifiche nei meccanismi di confisca e valorizzazione dei beni sequestrati alla Mafia; ma anche forme di responsabilizzazione dei tribunali rispetto al servizio erogato ai cittadini e ai tempi dei processi, e innovazioni dell’organizzazione e della distribuzione sul territorio delle stesse forze dell’ordine e dell’esercito.
E lo stesso vale per modifiche – minori adempimenti burocratici per la valorizzazione di beni culturali, ad esempio; modifiche nelle regole del mercato del lavoro; semplificazioni nei meccanismi di determinazione delle imposte e di contrasto all’evasione fiscale – che possano dare agli innovatori la possibilità di concentrarsi sul proprio progetto nei territori nei quali le Regioni del Sud decidessero di concentrare gli investimenti.
Se è vero che è da Napoli, da Palermo, da Bari, dalla Calabria sono partite le scosse telluriche che hanno messo progressivamente in ginocchio l’intero sistema Italia, è altrettanto vero che è dal Sud che deve cominciare una strategia che riesca a smentire chi continua a pensare che rigore, crescita ed eguaglianza sono termini di un’equazione che costringe chi governa a fare scelte dolorose e, inevitabilmente, impopolari.
Del resto è in un Mezzogiorno – nel quale si è liquefatto (come hanno dimostrato le elezioni in Sicilia) il “voto di scambio” per esaurimento di risorse con le quali scambiare, appunto , consenso – che si gioca buona parte dell’esito della prossima campagna elettorale.
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