Le sciarade di Alemanno e Zingaretti
Anche reputando ormai poco verosimile l’ ipotesi di uno scioglimento anticipato del parlamento, appena trascorso il periodo estivo, il mondo politico italiano entrerà progressivamente nel clima elettorale.
Ma a Roma questo clima si arroventerà assai più velocemente perché, in concomitanza con le assise politiche nazionali, anche il Campidoglio, sede simbolica e fattuale della città metropolitana di Roma Capitale, ospiterà la nuova assemblea e il Sindaco eletti dai romani per gestire il quinquennio “2013 -2018”.
Nella previsione corrente i due concorrenti che si contenderanno alla fine tale incarico hanno entrambi il volto già noto, sul piano nazionale, di Gianni Alemanno, sindaco in carica , e di Nicola Zingaretti, presidente della Provincia di Roma, che, in questo torrido scorcio preferiale , giocano le loro prime credenziali.
Alemanno, poche sere or sono, invitato televisivamente a definire il suo maggiore successo coma sindaco della capitale, non ha esitato a identificarlo, nella delimitazione delle conseguenze del fallimentare bilancio ricevuto in eredità dall’ amministrazione Veltroni.
Zingaretti, dal canto suo, fa presumere di voler caratterizzare la sua immagine di candidato sindaco, con una proposta urbanistica nuova consistente nella rigorosa denegazione del consumo di territorio, specie dell’ agro romano, per nuove iniziative edilizie, attività alle quali il rivale Alemanno appare invece particolarmente proteso.
Il paradosso che ne consegue vede entrambi i candidati alle prese con un incrocio di curiose contraddizioni cui altri eventuali candidati minori, concorrenti alla carica, o l’ acribia dei giornalisti, potranno agevolmente sottolineare.
Potrebbe essere richiesto ad Alemanno il motivo di tanto ritardo nella denuncia del deficit della città, in considerazione specifica della sua duplice funzione di sindaco e di commissario al bilancio ai cui relativi doveri, almeno apparentemente, ha omesso di ottemperare, dall’ inizio del suo mandato, per renderne pubbliche le coordinate essenziali e illustrarne i ritenuti possibili rimedi .
A Zingaretti, specularmente, potrebbe essere chiesto di spiegare il silenzio con cui, pressoché con tutto il Pd, di cui da tempo è stato dirigente romano e nazionale, ha condiviso ( ed esaltato ) la faraonica impostazione del piano regolatore di Roma, poi approvato nel 2008, ultima fatica del sindaco Veltroni.
Quel piano regolatore, precisamente, che assurse a ideale colonna portante del celebre “modello Roma” ( ora dimenticato ) , che prevedeva un volume fabbricativo di oltre 60 milioni di metri cubi, con i connessi “diritti compensativi” e “accordi di programma” , a maggior gloria e intraprendenza degli immobiliaristi dell’ urbe.
Forse, per queste contraddizioni, Roma ha meritato davvero di essere gratificata del nuovo titolo di Capitale della Nazione.
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