Il rito stanco di questi partiti
di Gregorio Gitti
Eppure avevano detto di sì. La nostra proposta di legare il finanziamento pubblico dei partiti al rispetto di determinati requisiti era stata accettata pubblicamente dai principali partiti, Pd, Udc e Pdl. Non il mese scorso, ma tre anni fa. Al convegno che organizzammo a Roma il 7 aprile del 2009.
Sin dalla sua costituzione, Fondazione Etica ha sempre chiesto l’attuazione dell’art. 49 della Costituzione, attraverso l’approvazione di una legge che disciplini i partiti e che, soprattutto, subordini l’erogazione di finanziamenti pubblici, sotto qualsiasi forma, all’adozione di uno Statuto in grado di assicurare democrazia interna, ricambio nella classe dirigente, trasparenza ed efficienza.
I partiti – abbiamo sempre detto – non devono essere obbligati a regole interne, ma neppure i cittadini devono essere obbligati a pagare per il loro sostentamento a qualunque condizione.
Questa non è antipolitica: non crediamo che i politici siano tutti uguali. Nei fatti, però, in troppi hanno dato prova di un uso disinvolto di fiumi di denaro e di un’occupazione smodata dello spazio pubblico, a livello nazionale come locale. Questo vuol dire che possiamo fare a meno dei partiti? Dei partiti no, ma di questi partiti sì.
Il disfacimento del quadro politico è tale ormai che il problema non è più solo di “quanti” soldi dare ai partiti, ma del “se” darli. Paradossalmente, anche il semplice rimborso elettorale – quello vero – viene ora percepito dai cittadini come uno sperpero del loro denaro di fronte all’inefficienza e inadeguatezza dimostrata dai partiti. Pochi o tanti che siano, perché dare soldi a partiti che non hanno saputo portare a compimento nessuna riforma seria in campo economico e finanziario, nessuna per la ricerca scientifica, nessuna sul lavoro, nessuna in ambito elettorale, nessuna per il riassetto istituzionale del Paese?
È ora di cambiare, da tanto tempo ormai. Ma questa classe politica ha dato prova di non volersi autoriformare e, siccome è essa stessa che fa le leggi, anche su di sé, è difficile fidarsi dei suoi roboanti annunci di questi giorni.
Riconoscere questo non è una resa, ma una presa di coscienza. Per non illudere e non illudersi.
Realisticamente i cittadini hanno solo due strumenti per ottenere una legge sui partiti: la crisi economica e finanziaria, che può spazzare via tutto e tutti – come già in parte ha fatto lo scorso novembre – ma questo dipende solo dagli eventi. Il secondo strumento, invece, è nelle mani dei cittadini: il voto alle prossime politiche può azzerare ogni assetto.
Non c’è bisogno di aspettare un anno: le previsioni di voto, anzi di non-voto, potrebbero essere una spinta sufficientemente convincente per i partiti a invertire finalmente la rotta.
Ma se non si convinceranno loro, potrebbe essere qualcun altro, forse un nuovo soggetto politico (anche solo una lista civica nazionale), a capirlo prima, e a raccogliere la messe di voti in uscita da simboli elettorali ormai svuotati di significato e privi di attrattiva.
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