A BOCCE FERME
di Aldo Perotti
E’ trascorso quasi un mese dalle elezioni poltiche ed è forse solo ora possibile tentare un’analisi degli eventi. Il risultato elettorale ha confermato (sarà
stata la prima volta) quanto i sondaggi andavano proclamando da tempo: malcontento nella popolazione nei confronti del governo Prodi; il centrodestra in vantaggio
sul centro sinistra di 5, 6 ..10 punti percentuali.
Pur trattandosi di una morte annunciata moltissimi di noi hanno creduto che anche questa volta le urne avrebbero smentito i sondaggi, che anche questa volta
gli elettori sarebbero rimasti fedeli al loro voto e avremmo visto riproporsi lo scenario di due anni fa, un pareggio, o anche una sconfitta.. ma piccola piccola.
“Si può fare …. a salvarsi…. e forse anche a vincere … chissà”. Questo è quello che pensavamo tutti noi elettori di centrosinistra. E’ invece no. E’ arrivata
la mazzata. Il “voto utile” di Berlusconi ha fatto presa sugli elettori e, per la maggioranza degli italiani, il voto utile era quello dato alla destra.
Tralasciando le alchimie (o l’idraulica) dei flussi di voto il paese – tutto insieme – ha scelto di fare un passo verso destra. La scomparsa di alcuni partiti dal panorama parlamentare e la concentrazione del voto sul Popolo delle Libertà (su Berlusconi) e sulla Lega è il risultato di un ragionamento semplice dell’elettore italiano che ha deciso di votare chi aveva i numeri per contare davvero e nel dubbio di votare un po’ più a destra. E’ come se in questo strano biliardo della politica italiana che vedeva le biglie (i gruppi sociali) distribuite in maniera quanto mai articolata, all’improvviso le biglie abbiano deciso di raccogliersi in pochi gruppi su un tavolo (il paese) che
improvvisamente pende a destra.
Il Partito Democratico ha lavorato per questa semplificazione ed in questo ha avuto successo ma l’inclinazione del tavolo è tale che basta poco, veramente poco, e le biglie rotolano dalla parte sbagliata. Le amministrative romane parlano chiaro: in una situazione di sostanziale equilibrio destra-sinistra è bastato poco e molti voti sono finiti nelle buche alla destra del tavolo (Rutelli ha perso in quanto ex Ministro del governo Prodi e quindi mediaticamente “antipatico” ; è valsa quindi la formula: nel dubbio a destra).
Ci si deve rendere purtroppo conto che in questo momento storico la sinistra si trova a combattere le sue battaglie su un piano inclinato che tende a spostare
le aggregazioni sociali, le famiglie, le imprese, su posizioni conservative, di chiusura, per certi versi antistoriche.
E più questo spostamento avviene e più il paese, sotto il suo peso, corre il rischio di inclinarsi a destra. E’ il rischio della deriva autoritaria già sperimentata nel corso della storia. Spero di sbagliare ma l’opposizione collaborativa che promette Casini e la scelta di Di Pietro di non confluire nel gruppo del PD sembrano già dei segnali di scivolamento verso destra di queste formazioni politiche. Esistono, è vero, delle “incompatibilità” strettamente personali (Berlusconi vs Di Pietro ad esempio), ma la politica è l’ arte del compromesso.
Elemento anomalo in questo sistema dinamico è costituito dalla Lega Nord. La Lega gioca solo su una parte del tavolo e non ha una posizione definita. Non è interessata alle buche di destra o a quelle di sinistra. Non ha una sua visione del mondo ne progressista ne conservatrice e vuole solo un tavolo ordinato secondo un disegno non troppo distante (e non molto più grande) da quello di una terrazzo o di un piccolo giardino.
Piccolo, curato, anche con piante di pregio, fiori, e tutto il resto fuori.
La Lega possiede un suo magnetismo sulle istanze “semplici” e da qui la capacità di attrarre voti provenienti in tutte le classi sociali. In questo è un partito interclassista (come i grandi partiti della prima Repubblica), questo in controtendenza con quello che gli ultimi 15 anni hanno rappresentato per l’Italia, quindici anni in cui il bipolarismo tendeva sempre più a presentarsi come scontro tra classi economico-sociali, essenzialmente ricchi contro poveri.
I grandi partiti DC e PCI si sono disgregati nel confilitto tra democristiani ricchi (professionisti, industriali) e democristiani poveri (operai, impiegati,
volontariato), come anche tra comunisti ricchi (quadri aziendali, gruppi colti ed agiati) e comunisti poveri (operai e gruppi massimalisti). L’obiettivo del
Partito Democratico sembrerebbe quella di voler essere, e la composizione delle liste voluta da Veltroni ne da conferma con l’inserimento della grande industria
(Colaninno) e del mondo operaio (Boccuzzi – ex Thyssen), un grande partito interclassista.
Questa scelta potrebbe a lungo termine rivelarsi vincente solo affiancandola ad altre scelte strategiche. Una di queste sembrerebbe già stata presa nella ricerca di un dialogo maggioranza-opposizione sulle istanze “semplici”. Le istanze “semplici” sono quelle che provengono dalla stragrande maggioranza del paese e sono sicurezza, governabilità, strade pulite, servizi efficienti, giustizia rapida.
E’ (ed è stato) un atteggiamento suicida quello di tralasciare questi temi per occuparsi di temi minoritari nel paese, temi che spesso vanno a sbattere contro
la coscienza individuale, contro principi etici e religiosi, argomenti che sono in grado di dividere non solo i partiti al loro interno ma pure le singole famiglie (mariti contro mogli, padri contro figli).
Si tratta di temi letteralmente “laceranti” (si pensi ai Dico) che vanno certo mantenuti nel campo della politica ma solo in termini teorici e possono essere affrontati
solo quando la coscienza del paese li abbia “maturati”.
Purtroppo la sinistra spesso abbraccia donchisciottescamente queste battaglie che sono essenzialmente culturali. Il Partito Radicale, che ha sempre fatto di
queste battaglie il centro della sua attività, non è mai riuscito a raccogliere attorno a se un consenso significativo (fino quasi a scomparire). In questo la destra è sempre stata più cinica ed opportunista e si è raramente impegnata in battaglie che rischia di perdere (si pensi al recente silenzio assordante del Popolo delle Liberta sulla questione dell’aborto – con l’isolamento di Giuliano Ferrara lasciato solo dalla sua parte politica).
Un’altra scelta strategica per il PD dovrà essere quella di costruire un propria visione del mondo, un’idea del futuro originale ed in grado di dare riposte non sul presente (le istanze “semplici”) ma sul futuro lontano. Non possiamo pensare solo ai nostri figli ma dovremmo pensare ai nostri nipoti e se
possibile ai loro figli.
Il PD deve immaginare il mondo tra cento anni e progettarlo nelle sue fasi realizzative. Le scelte, gli indirizzi politici di oggi non sono che le premesse del mondo
che verrà, ma è su quelle premesse che prenderà forma il futuro di tutti noi.
Questa visione d’insieme potrà caratterizzare il PD e renderlo una forza propulsiva per il paese travolgendo quella visione miope, conservativa , per
certi versi un po’ nostalgica dei partiti dell’attuale maggioranza.
Tra cento anni come sarà il mondo ? Ci saranno ancora i ricchi e i poveri ? Esiteranno ancora le automobili ? Roma e Inter giocheranno ancora la Coppa Italia ?
Esisteranno ancora i campi di calcio o sarà tutto virtuale ? La prostituzione – il mestiere più antico del mondo – esisterà ancora ? Per innamorarsi bisognerà
aver superato un esame e comunicarlo via e-mail all’interessata prima di dirle “mi sembra (non è vero) di averti già incontrata”?
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