LE SFIDE DELLA GLOBALIZZAZIONE
Sfide attuali ed emergenze sociali, ecologiche, culturali
di LAURA TUSSI
Nel lessico di fine millennio si fa strada questa domanda nuova che, a causa degli abusi quotidiani, rischia di risuonare senza un preciso significato: come si coglie la reale complessità della globalizzazione e come ci si misura con le sue sfide?
Si evidenziano gli errori di un globalismo semplificato e si rivendica anche una “politica della globalizzazione” capace di rispondere a emergenze ambientali e sociali non più governabili a livello nazionale: i rischi della globalizzazione possono mobilitare nuove energie, favorendo la nascita di una “seconda modernità”. Nell’accezione economica, la globalizzazione è contestata da alcuni movimenti no-global e new-global. (v. anche Popolo di Seattle, No logo), mentre è fortemente sostenuta dai gruppi liberisti, libertari e anarco-capitalisti.
I dibattiti riguardo il suo effetto sui paesi in via di sviluppo sono infatti molto accesi: secondo i fautori della globalizzazione, questa rappresenterebbe la soluzione alla povertà del terzo mondo. Secondo gli attivisti del movimento no-global invece essa non farebbe altro che impoverire maggiormente i paesi poveri, in favore delle multinazionali.
I dati forniti dalle scienze sociali indicano però che la globalizzazione non ha reso nel complesso i paesi più poveri, ma nemmeno ha grande influenza nella riduzione della povertà. Hanno invece effetto decisamente maggiore alcuni miglioramenti interni, quali sviluppo della rete infrastrutturale, il perseguimento della stabilità politica, le riforme del sistema agrario e miglioramento dell’assistenza sociale. Effetti indiretti della globalizzazione sono le ripercussioni sull’ambiente e sull’inquinamento dell’aria, causate dall’industrializzazione e dall’aumento dei trasporti.
Contribuenti virtuali
Uno degli aspetti più interessanti della globalizzazione è la tendenza a collocare il politico al di fuori dello Stato-Nazione. Le imprese e le loro associazioni hanno conquistato il potere d’azione, finora addomesticato con la politica dello Stato sociale del capitalismo. Con la globalizzazione, le imprese sono arrivate a detenere un ruolo chiave non solo nell’organizzazione dell’economia, ma anche in quella della società nel suo complesso. L’economia che agisce in maniera globale sgretola i fondamenti degli Stati-Nazione e della loro economia nazionale.
Il potere delle imprese internazionali si fonda sulla possibilità di esportare i posti di lavoro dove ciò è più conveniente. Le imprese possono dividere prodotti e servizi e distribuire il lavoro in posti diversi, servendosi di Stati-Nazionali piuttosto che di altri così da trovare le più convenienti condizioni fiscali. Le stesse possono distinguere autonomamente tra luoghi di investimento, di produzione, sede fiscale e servirsene l’uno contro l’altro. Tutto ciò avviene senza un dibattito in parlamento, senza una decisione governativa o mutamenti legislativi: da qui il concetto di sub-politica. Quello dell’imposizione fiscale, il principio dell’autorità dello Stato-Nazione è esplicativo di come le imprese internazionali minino l’autorità statale, potendo permettersi di fuggire alle imposizioni fiscali, pagandole, tramite gli scorpori, dove più conviene loro: i capitalisti sono contribuenti virtuali.
Globalismo, globalità e globalizzazione
Con il termine globalismo è indicato il punto di vista secondo cui il mercato mondiale sostituisce l’azione politica, che riduce la multidimensionalità della globalizzazione ed i suoi aspetti ecologici, sociali, culturali ad una sola dimensione, quella economica. Non si vuole negare o ridurre il significato centrale della globalizzazione economica, ma con il termine globalismo si sottolinea l’eliminazione della differenza, fondamentale nella prima modernità, tra politica ed economia. Il globalismo ritiene che uno Stato proceda diretto come un’azienda. Interessante come il globalismo, così inteso, finisca con l’attrarre anche i suoi avversari dando vita ad un globalismo che si opponga, convinto comunque del dominio non eliminabile del mercato mondiale che si rifugia nelle diverse forme di protezionismo. I protezionisti neri piangono la perdita del significato di nazione, ma sollecitano, contraddicendosi, la distruzione neoliberale dello Stato-Nazione. I protezionisti verdi scoprono lo Stato-Nazione come difensore dell’ambiente. I protezionisti rossi rispolverano la lotta di classe e la globalizzazzione serve per ribadire le loro ragioni.
Da tempo viviamo in una società mondiale, dove nessun paese, nessun gruppo può isolarsi dall’altro. Per società mondiale si intende l’insieme dei rapporti sociali che non sono integrati nella politica dello Stato-Nazione.
La globalizzazione è intesa come il processo in seguito al quale gli Stati nazionali e le loro sovranità vengono condizionati da attori transnazionali. Una differenza essenziale tra la prima e la seconda modernità è la irreversibilità della globalità e, a tal proposito, solo acquistando la prospettiva della multidimensionalità della globalità si smentisce che il globalismo sia nella natura delle cose; le diverse logiche particolari della globalizzazione ecologica, culturale, politica, devono essere decifrate e comprese nelle loro interdipendenze. La globalità risulta irreversibile per varie ragioni come la crescente interazione del commercio internazionale, le connessioni globali dei mercati finanziari, la crescita delle imprese transnazionali, la rivoluzione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, le rivendicazioni dei diritti umani che si impongono universalmente, i flussi di immagine dell’industria culturale globale, gli attori transnazionali sempre più potenti, accanto ai governi, la povertà globale, la distruzione globale dell’ambiente, i conflitti transculturali locali.
Come un container, lo Stato simula un’unità territoriale in cui le categorie dell’auto-osservazione statale divengono le categorie delle scienze sociali empiriche, così che le decisioni sociologiche della realtà finiscono per confermare la descrizione che lo Stato attribuisce a se stesso. In base a questa teoria le società presuppongono il dominio statale dello spazio, per cui le società sono subordinate allo Stato; la politica non risulta collegata alla società, ma allo Stato; l’omogeneità interna delle società è una creazione del controllo statale.
Wallerstein individua il motore della globalizzazione nel capitalismo, sostituendo l’immagine di singola società separata con l’immagine di un sistema-mondo nel quale tutti devono collocarsi e affermarsi in una divisione del lavoro. L’economia mondiale capitalistica consiste in un unico mercato dominato dal principio della massimizzazione del profitto, dalla presenza di strutture statali ( che tendono a incrementare i guadagni di gruppi particolari) e dall’appropriazione del plus-lavoro in virtù di uno sfruttamento che comprende tre livelli: spazi centrali, semiperiferie e paesi periferici. Nel sistema-mondo pensato da Wallerstein si acuiscono i conflitti perché crescono le diseguaglianze.
Anche Rosenau rompe con il pensiero nazional-statale, ma non si avvicina al concetto di sistema-mondo, bensì distingue due fasi della politica internazionale e individua la globalizzazione come il superamento della politica internazionale. Adesso è cominciata la politica postinternazionale nella quale gli Stati devono dividersi il potere con organizzazioni internazionali, gruppi industriali, nonché con movimenti politici trans-nazionali.
Con Rosenau si può parlare di politica mondiale policentrica nella quale tutti gli attori (il capitale, i governi, la Banca Mondiale, Greenpeace) lottano gli uni contro gli altri per imporre i propri interessi. Nel quadro di questa politica mondiale policentrica si distinguono le organizzazioni transnazionali che agiscono in collaborazione o scontrandosi, i problemi transnazionali (clima, AIDS, denutrizione) che determinano l’ordine politico attuale, gli eventi transnazionali (mondiali di calcio, guerra nel Golfo, in Iraq) che provocano turbolenze nei diversi continenti e le comunità transnazionali, basate sulla religione, sul sapere, sugli orientamenti politici.
Lo sviluppo del mercato mondiale ha profonde conseguenze sulle culture e sugli stili di vita. Questa globalizzazione culturale consiste nella fabbricazione di simboli culturali e in una loro sempre più estesa convergenza: sembra sorgere un unico mondo di merci nel quale gli unici simboli sono quelli del capitalismo e del consumismo. Il locale e il globale non si escludono, al contrario il locale deve essere appreso come un aspetto del globale. Globalizzazione significa anche unirsi, l’incontrarsi di culture locali e perciò Robertson propone il termine glocalizzazione.
Secondo Smith il concetto di “nazionalismo metodologico” ben caratterizza il modo di intendere la società e lo Stato nella prima modernità: essi vengono pensati, organizzati, vissuti come sovrapponibili. Lo Stato territoriale diviene il container della società. Queste società nazional-statali conservano nella vita quotidiana identità fondamentali, la cui ovvietà sembra formarsi su formulazioni tautologiche (es. i Tedeschi vivono in Germania, se esistono ebrei neri ecc…) di normale disordine mondiale, viene recepito in questo orizzonte come una vera minaccia. Questa architettura di pensiero degli spazi e delle identità nazionali si infrange contro la spinta della globalizzazione economica, culturale nel rapporto fra la prima e la seconda modernità in cui non abbiamo più un’etica che detta le regole, ma che le muta; una politica caratterizzata dalla nuova disputa del potere fra attori nazionali e attori transnazionali.
Uno degli aspetti interessanti di questa seconda modernità è il modello coalizzativo di politica diretta globale, che porta a formare alleanze tra coloro che normalmente erano opposti: i gruppi industriali mondiali e i governi nazionali sono sottoposti all’opinione pubblica mondiale e il cittadino scopre che l’atto d’acquisto può essere un atto politico.
La globalizzazione biografica
La poligamia di luogo porta a essere legati a più luoghi che appartengono a mondi diversi; questa sorta di globalizzazione biografica significa che i contrasti del mondo non hanno luogo solo là fuori, ma al centro della nostra vita, in famiglie multiculturali, in azienda o nella cerchia degli amici.
Il passaggio dalla prima alla seconda modernità è segnato anche da questo passaggio dalla monogamia alla poligamia di luogo.
Viviamo in una società mondiale multidimensionale nella quale non vi è però uno Stato mondiale e un governo mondiale e dove è sorto un capitalismo globale disorganizzato.
Il globalismo ha prodotto vari errori quali la metafisica del mercato mondiale, ossia la riduzione della complessità del fenomeno alla sola dimensione economica ridotta a società mondiale del mercato.
Il libero mercato mondiale a cui il globalismo leva un inno sostiene che l’economia globalizzata porterà benessere a tutti. Si trascura intenzionalmente il fatto che viviamo lontano da un modello di libero mercato: affermare che il mercato mondiale rafforza la competizione e comporta un abbassamento dei costi è una affermazione cinica la quale non tiene conto che l’abbassamento dei costi viene ottenuto tramite l’abbassamento degli standard di produzione e di lavoro umani.
Con l’internazionalizzazione e la non globalizzazione si può notare un rafforzamento dei rapporti commerciali transnazionali fra determinate regioni del mondo, America, Asia, Europa, per cui più che di globalizzazione si può parlare di triadizzazione dell’economia. Il globalismo trae il suo potere solo in piccola parte dal suo effettivo verificarsi e perlopiù dalla messa in scena della minaccia, ciò da cui le imprese transnazionali traggono il loro potere è una specie di società del rischio. Il globalismo neoliberale è una manifestazione politica che però si esprime in modo impolitico, non si agisce, ma si ubbidisce alle leggi del mercato mondiale.
La globalizzazione economica non è un meccanismo, non è qualcosa che va da sé, ma è un progetto politico di attori, istituzioni, coalizioni transnazionali.
I più credono che se alla società dei consumi viene a mancare il lavoro salariato, si ha una catastrofe. D’altronde la sostituzione della forza-lavoro con la produzione totalmente automatica, compiuta nel modo giusto, potrebbe offrire possibilità finora inimmaginabili: esse però devono essere colte e realizzate politicamente. Il globalismo neoliberale però diffonde paura e paralizza politicamente, per cui se non si può far nulla allora almeno bisogna proteggersi, con reazioni protezionistiche.
Le risposte alla globalizzazione possono essere la cooperazione internazionale, lo stato transnazionale, il riorientamento della politica della formazione, e l’alleanza per il lavoro d’impegno civile.
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