ATTUIAMO I CONTRATTI DI SOLIDARIETA’ PER LE PICCOLE E MEDIE IMPRESE IN ITALIA, ADESSO
La Proposta degli Innovatori Europei
In questo 2009 di piena recessione, con un Prodotto Interno Lordo in significativa e preoccupante discesa, i “Contratti di Solidarietà” potrebbero evitare la perdita di migliaia di posti di lavoro (con tutte le conseguenze che ne conseguono).
I meno giovani ricorderanno fin troppo bene la formula dei contratti di solidarietà aziendale che in Italia trovarono diverse attuazioni a partire dagli anni 80’.
Per i piu’ giovani, dietro lo slogan LAVORARE MENO per LAVORARE TUTTI, in molte aziende di quegli anni fu fatto il sacrificio di ridurre secondo varie formule il normale orario lavorativo, con contestuale riduzione degli elementi retributivi.
Il risultato a tendere era quello di evitare i licenziamenti.
In molte realtà esso non solo fu raggiunto ma consentì alle aziende di uscirne rafforzate in termini sia “di morale” che di compattezza della forza lavoro.
In questi mesi, paesi come la Germania hanno intrapreso e bene questa strada.
Diciamo pure che anche da noi, il 20 dicembre scorso, il Ministro Sacconi l’aveva proposta …. poi però il progetto non ha avuto sviluppi concreti.
Quello che chiediamo con la nostra iniziativa è semplicemente di rinvigorire gli entusiasmi del governo su questo strumento, focalizzando l’attenzione su come questa forma di accordi andrebbe adattata al contesto attuale.
In sintesi, in termini di forze aziendali, forte dovrebbe essere il coinvolgimento anche dei dirigenti (le cui finanze senz’altro meglio sono in grado di sopportare periodi piu’ o meno prolungati di “dieta retributiva”).
D’altronde è criterio comune “a qualsiasi schieramento politico sano” che la solidarietà parte da chi ha di piu’ e progressivamente va a scendere.
I filantropi contribuiscono volontariamente, gli altri “vanno aiutati” a diventare piu’ generosi.
Troppo spesso sentiamo parlare di top manager con emolumenti da capogiro. Con lo stipendio medio di un dirigente “strategico” si possono trovare dei margini di manovra soddisfacenti. Del resto se molte aziende si sono in passato trovate impelagate in situazioni di crisi cio’ è stato dovuto anche a scelte “strategiche” poco ortodosse.
Se a questo aggiungiamo che, non solo dalla citata Germania ma anche dalla Francia e dalla Scozia spira un vento decisamente in chiave “anti-management”, riteniamo possa essere cosa buona incanalare questo vento in chiave assolutamente propositiva e non populista.
Chiudiamo con un’unica certezza: che i tempi siano maturi per iniziative di questo genere.
Ma cosa sono i contratti di solidarietà?
In sintesi sono degli strumenti di diritto del lavoro che prevedono, nelle situazioni di crisi aziendale, di ridurre il normale orario lavorativo (e, quindi, leggermente lo stipendio del lavoratore) per evitare il licenziamento di altri colleghi.
E’ una bellissima forma di solidarietà tra lavoratori – cittadini, e soprattutto permette di evitare la perdita di posti di lavoro, che comportano enormi problemi di natura sociale, economica e di sviluppo. Pensiamo solo cosa voglia dire, anche per la stessa azienda, perdere un lavoratore con un’esperienza pluriennale anni in termini di competenze, fiducia, formazione; oppure pensiamo cosa vuol dire per un lavoratore di 40 anni trovarsi, oggi – 2009, in cassa integrazione, con figli a carico; e pensiamo, infine agli impatti di un lavoratore senza stipendio sul “circuito dei consumi” del nostro Paese.
Questo è forse il migliore strumento di politica pubblica attuabile, rapidamente, in un’Italia in piena recessione. Oltre a preservare per periodi limitati di tempo le professionalità ed i posti di lavoro, ha due grandi vantaggi:
1) la trasposizione pratica del concetto di solidarieta’ in se’ … non piu’ “homo homini lupus” ma coinvolgimento collettivo e compartecipazione rinforzando la coesione aziendale;
2) se la crisi avra’ una durata limitata potrebbe fare la differenza, allungando i tempi di sopravvivenza delle aziende a ranghi completi facilitando la ripresa delle attivita’ non appena il mercato si riprende.
L’attuazione richiede un grande lavoro di regia del Ministero del Lavoro, per trovare l’optimum legislativo che raccordi gli interessi delle varie categorie (principalmente sindacati, imprese e politica), ma a nostro avviso è fattibile. Occorre estendere a tutte le imprese il perimetro della normativa attuale, in vista di una più ampia revisione del sistema degli ammortizzatori sociali di cui il paese ha impellente bisogno.
La cosa importante è che nell’attuale congiuntura si eviterebbe la perdita di decine di migliaia di posti di lavoro qualificati, che sta portando già tensioni sociali, crollo dei consumi, e, forse ancora peggio, la dispersione di capitale umano attraverso il licenziamento di lavoratori fidelizzati che si dequalificheranno e che difficilmente potranno poi essere reinseriti nel mondo del lavoro.
In termini realizzativi, una proposta/soluzione di questo tipo dovrebbe avere carattere di accordo temporaneo tra i portatori di interesse della specifica azienda ed essere incentivata, nel senso che le aziende/enti che decidessero autonomamente di adottare uno schema “lavorare meno – lavorare tutti” ben accolto dalla maggioranza dei lavoratori dovrebbero poter accedere a crediti d’imposta o altri meccanismi indiretti di diminuzione dei costi del lavoro a carico degli imprenditori.
Lavoratori con contratto a tempo determinato e prestatori d’opera ancora più precari dovrebbero assolutamente rientrare nel contratto di solidarietà aziendale con percentuali analoghe di diminuzione di ore di lavoro, garantendo però la continuità del rapporto di lavoro precedentemente instaurato.
Lo strumento “contratto di solidarietà” non è facilmente applicabile a tutte le realtà aziendali.
Ma sarebbe già ottimo se venisse applicato nelle tante PMI italiane, in cui si potrebbe salvare “la vita” a tanti lavoratori “specializzati in realtà aziendali di nicchia” che, se mandati via a 40-50 anni da “quella realtà” aziendale, rischiano grosso di restare disoccupati fino all’età della pensione (se mai la percepiranno). Le piccole aziende infatti non possono accedere a strumenti istituzionali come CIG/CIGS e scivoli vari e l’attuale fondo ex-lege 236/93 ha disponibilità molto limitate.
Da ricordare inoltre molte realtà settoriali, ad esempio quelle dello spettacolo e del turismo, caratterizzate da stagionalità e discontinuità ma da cui traggono reddito un gran numero di lavoratori autonomi/partite IVA che non posseggono nessun tipo di supporto economico ma che contribuiscono fortemente alla produzione di servizi.
E’ su queste realtà così presenti nel tessuto economico italiano che ci si dovrebbe concentrare più che sulle grandi imprese che, tra incentivi alle vendite, aiuti di stato e una maggiore capacità manageriale e competitiva (si veda il grande risultato raggiunto da FIAT negli Stati Uniti, che è frutto di tutte queste condizioni) superano sempre, alla fine, ogni congiuntura negativa.
I primi firmatari
Michele Cipolli
Andrea Masconi
Massimo Preziuso
Carlo Alberto Sartor
Mauro Stefanelli
Enzo Tripaldi
Per aderire, si può scrivere a: infoinnovatorieuropei@gmail.com
Lascia un commento