LETTA SI E’ CANDIDATO A NAPOLI!?
di Fabrizio Dell’Orefice – Il Tempo
Arriva a piedi. In giacca senza cravatta. Senza scorta. Una giornalista sull’uscio della stazione marittima di Napoli gli chiede nella mattinata assolata se davvero sta scaldando i muscoli. E lui: «Sono qui per ascoltare». E ascolterà Enrico Letta. Ascolterà. Prima parlerà però. Un discorso in cui non userà mai espressioni come «mi candido», «scendo in campo», o peggio ancora «sfido Veltroni alle primarie del Partito democratico». Ma così tutti indendono. E quei tutti sono i cento ragazzi della summer schol di Mezzogiorno Europa, la fondazione creata da Giorgio Napolitano. Cento ragazzi che sono ad asoltarlo mentre lì a fianco i traghetti portano gitanti e villeggianti verso le isole, il mare. Cento ragazzi che esploderanno in un fragoroso applauso quando uno dalla sala, nel giro delle domande, chiede esplicitamente: «Ma perché non si candida alle primarie? Più che una domanda è una richiesta». Battimani. Letta si porta la mano destra al volto con il pollice schiacciato sullo zigomo destro e l’indice su quello sinistro e il resto delle dita a nascondere una bocca sorridente. Sghignazzante. Sì, è stato anche un attimo imbarazzante. Perché è vero che la Mezzogiorno Europa è una fondazione un po’ trasversale, ma è la casa di Ranieri e De Giovanni, Geremicca e Pittella, Nicolais e un giovane Ivano Russo. Insomma, sono gli uomini del Presidente, sono quelli che un tempo erano la corrente migliorista del Pci e del Pds. Anche se la distinzione è sempre più difficile, qui è soprattutto una casa diessina più che margheritina. Dovrebbe essere veltroniana. Qui ha vinto un’altra logica, quella generazionale. Perché Letta si becca quell’appaluso? Che cosa aveva detto fino quel momento? Aveva detto che «in Italia a quarant’anni si è ancora considerati ragazzini» e aveva spiegato di sognare «una classe dirigente che si rinnova attraverso la competizione e non attraverso la cooptazione». Già, competizione: è la parola chiave del pensiero del giovane sottosegretario alla presidenza del Consiglio. «Se non c’è competizione – aveva spiegato – ognuno fissa il traguardo dove si trova. Invece la competizione fa bene, c’è bisogno di competizione per andare avanti». Si riferirà all’uomo solo al comando di Veltroni? Letta aveva insistito: «Nel campo dell’economia il monopolio distorce la concorrenza, non crea stimoli. Ma è ovvio che gli attori del mercato tendano a realizzare il monopolio, al massimo un duopolio». Il riferimento correva veloce alla situazione del Partito democratico, e parola dopo parola diventava sempre più esplicito: «C’è chi dice: “ma come, spendete tempo a fare a gara tra di voi invece di farla tutti assieme all’avversario?”. Io rispondo: “Sì, è bene che la competizione ci sia sempre”». E non a caso aveva citato il «meccanismo virtuoso» dell’elezione diretta dei sindaci come sistema di selezione della classe dirigente: «È stato così in Francia e in Germania, dove il governo del Paese è nato nelle esperienze locali». E allora proprio per questo «bisogna ricordarsi che tutti i grandi leader europei hanno prima lottato all’interno dei loro partiti prima di conquistarne la leadership e quindi prendere la guida del Paese: è successo a Zapatero, a Sarkozy che pure aveva contro l’oligarchia della sua formazione politica, a Blair». «In Italia, invece – aveva continuato Letta -, non esistono partiti “conquistabili”. Chi è in minoranza non ha altra strada che fare una scissione e fondare un altro partito. Il Pd è l’unica possibilità di rendere europeo il nostro sistema; deve avere un valore positivo di partecipazione e di competizione virtuosa; deve mettere in circolo energie nuove che si sentono escluse. Solo così renderà un grande servizio al Paese. Per questo auspico delle primarie sul modello europeo, è la modernizzazione della politica». Arrivavano le domande dei ragazzi sulla rissosità della politica e altro con l’applauso di investitura. E Letta si lasciava andare: «Si è appena aperta una porta. Infiliamoci il piede, sbarriamola, spalanchiamola. Mettiamoci tutti insieme da qui al 14 ottobre e proviamo a fare in modo che nel Pd non sia tutto già deciso, meglio primarie che si svolgano in modo aperto e coraggioso». Il finale era morettiano: «Ci sono politici che pensano ad affrontare le questioni e a risolverle, altri che pensano solo ai voti. Noi amiamo questi primi. Stamattina abbiamo aperto una discussione, manteniamoci in contatto, scriviamoci, continuiamo a discutere su internet. Facciamo entrare nuovo ossigeno in questo Pd». Applauso di saluto, arrivederci e grazie. Si riparte per Roma, c’è il tavolo delle pensioni. Ma nella sua puntatina partenopea Letta non ha detto che si candida. L’ha fatto.
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